Andiamo con ordine: “Salvini: il governo non cadrà” titola il Corriere. “Pensioni, il colpo di mano” l’apertura de la Repubblica. “Di Maio e Salvini tagliano le pensioni” fa eco Il Giornale. “Il governo trascina il Colle nella rissa sulla sicurezza. Conte oggi vede Mattarella” è il titolo di apertura de La Stampa. “Caos governo, gelo del Colle” prova a fotografare la situazione Il Messaggero. A metterle una di seguito all’altra le prime pagine dei principali giornali non ci si orienta granché. Cosa sta effettivamente succedendo nei dintorni di Palazzo Chigi?
La sintesi è che il ministro dell’Interno ha fatto ieri una mezza marcia indietro decidendo di procedere ad una modifica del decreto sicurezza bis. Ma per il Quirinale restano ancora forti le perplessità su alcuni aspetti non irrilevanti e sta valutando le correzioni apportate. In particolare, sulle pene e le multe da comminare. E poi c’è il decreto famiglia, che non ha i requisiti richiesti né la copertura finanziaria. Così se ieri si poteva parlare di “pausa confusione”, oggi si può dire solo che la confusione è grande sotto il cielo del governo ad una prima lettura.
Matteo Salvini insiste: ’Il decreto sicurezza bis è stato corretto e dunque si può approvare prima del voto di domenica’. Cioè oggi, o domani. A Palazzo Chigi però non sono affatto convinti dell’analisi, tanto che ieri Giuseppe Conte ha avuto contatti con il Quirinale proprio per discutere anche del decreto, un provvedimento che nonostante le modifiche dell’ultima ora sarebbe comunque al centro di notevoli dubbi, giuridici e di merito” è l’incipit della cronaca del Corriere. Cui fa eco quello de la Repubblica: “Sparito il riferimento ai migranti dall’ultima bozza uscita dal Viminale il decreto sicurezza bis, voluto da Matteo Salvini, potrebbe, a questo punto, anche passare il vaglio costituzionale del Colle” il nuovo testo. “Il condizionale è d’obbligo – avverte il giornale diretto da Carlo Verdelli – perché ieri sera tardi il vaglio era ancora in corso. Resterebbe al palo invece il decreto famiglia, su cui punta Luigi Di Maio. Non solo in questo caso c’è un problema di coperture, ma non si ravvisano nemmeno gli estremi per una decretazione d’urgenza. Questo lo stato dell’arte sui due provvedimenti elettorali del governo, al termine di una giornata convulsa, resa ancora più complicata dall’isteria pre-voto che accompagna l’infinito duello tra Lega e Cinquestelle”.
Nell’intervista rilasciata al quotidiano di via Solferino, il vicepremier laghista si ripromette di non rispondere più a qualsiasi attacco del partner di governo, i 5Stelle, e giura: “Lavorerò ancora con Di Maio”. “No, no, nooo... il governo non cade. Va avanti. Va avanti per quattro anni e lo farà perché ha lavorato bene” l’abbrivio del colloquio. E sul decreto sicurezza bis, oggi ci sarà il Consiglio dei ministri che lo approverà una volta per tutte? Chiede l’intervistatore: “Io spero proprio di sì. È quello che mi aspetto, dato che ho fatto le correzioni richieste. Ho fatto notte per arrivare a un testo che venisse incontro a quanto mi veniva segnalato. Non mi lamento: è il mio lavoro. Ma se il Consiglio non ci fosse, vorrei quanto meno sapere il perché” è la risposta.
Ma oggi valgono forse di più i commenti. Quello di Antonio Polito sul Corriere della Sera (“Uno più uno ora fa zero”, il titolo) comincia con un’annotazione: “Vabbè che la famiglia è sacra. Ma un governo con due politiche della famiglia è un po’ troppo”. E per l’editorialista “Quello che sta succedendo nelle ore finali della campagna elettorale riassume alla perfezione il buco nero in cui è sparito il governo Conte: uno più uno non fa più due, ma zero”. Sulla famiglia, infatti, una proposta “è del ministro leghista Fontana, che sta faticosamente tentando di attaccare un pacchetto di emendamenti al treno del decreto crescita. L’altra è del vicepremier Di Maio, che ha proposto un suo decreto legge appena bloccato dal ministro Tria perché senza copertura”. Ciò dimostra che “la logica del contratto prevedeva, spericolatamente, che programmi molto diversi, spesso divergenti, talvolta alternativi, potessero sommarsi senza integrarsi. Tot miliardi di reddito di cittadinanza a me, tot di quota cento a te , e amici come prima. Ma il contratto ha ballato una sola estate. Sufficiente appena a metter e nei guai i conti pubblici”.
Sintesi del ragionamento? “Il risultato è stato appena certificato con timbro ufficiale da Giancarlo Giorgetti: il governo è paralizzato, nel caos, siamo rimasti alle varie ed eventuali. In poche parole: è finita, fino a prova contraria. E se lo dice lui, che di mestiere fa il segretario del Consiglio dei ministri e ne verbalizza le riunioni, gli si può credere” scrive Polito. E nell’usuale retroscena, Francesco Verderami segnala che “prima ancora di entrare in crisi in Parlamento, il governo sta entrando in crisi nel Paese. La sfiducia ha le sembianze di un diagramma che a Palazzo Chigi conoscono e che da marzo segnala la picchiata negli indici di gradimento per il premier e i suoi due vice. Poco importa se Salvini sopravanza Conte e stacca Di Maio, il trend colpisce l’esecutivo nella sua interezza e riguarda singolarmente i tre protagonisti di una narrazione che non convince più l’opinione pubblica”.
Mentre il costituzionalista Michele Ainis osserva su la Repubblica che “c’è un problema giuridico sul decreto sicurezza bis. Ma c’è anche un problema contabile. Perché in realtà i decreti sono tre, quattro, cinque. Ogni ministro dell’Interno ne spara un paio all’esterno. Pallottole di carta, che colpiscono i più deboli”. E “nel caso del Sicurezza bis (o meglio quinquies), il pericolo concreto risiede però nella sua incostituzionalità. Più che probabile, sicura. Giacché le garanzie costituzionali vennero concepite in soccorso dei più deboli, di chi occupa gli ultimi posti della fila. I forti non ne hanno bisogno, loro si difendono da sé. È un mondo a rovescio, perciò, quello che sbuca fuori dal decreto. Ma soprattutto è una Costituzione rovesciata”.
Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, nell’editoriale segnala invece che “l’Europa sarà anche cattiva e causa dei nostri mali, ma di tagliare l’assegno a oltre cinque milioni di pensionati non l’hanno deciso a Bruxelles ma a Roma. nelle stanze del governo gialloverde”. Anzi, “per la verità l’ha deciso Di Maio e Matteo Salvini, purtroppo, ha lasciato fare. Da giugno quindi partirà la più ingiusta delle sforbiciate a quel ceto medio che ha contribuito, lui sì, alla crescita di questo Paese. Di Maio le chiama le ‘pensioni d’oro’, ma non parliamo di miliardari bensì di lavoratori che grazie alla loro bravura hanno avuto durante la vita lavorativa stipendi tre volte i minimi (circa quattromila euro al mese). (…) Nessun governo di centrodestra avrebbe mai fatto un simile scippo, per di più a vantaggio dello stipendio assicurato per fannulloni e perditempo (leggi reddito di cittadinanza)” scrive il direttore che segnala anche che “il ministro Tria ieri ha fatto capire che salteranno gli ottanta euro di renziana memoria e già, lontano dalle luci dei dibattiti televisivi dove va sempre ‘tutto bene’ si parla di patrimoniale”.
Morale? “Chi taglia le pensioni non può, per definizione, essere affidabile nel garantire un futuro, né a noi né al Paese”.