Passa ora per la Capitale la linea netta di demarcazione tra 5 Stelle e Lega. E per il suo astronomico debito. Un buco da 12 miliardi di euro, l’ennesimo da riempire come le tante buche lungo le strade della città. Ed è sul “buco” che si gioca il nuovo braccio di ferro tra Salvini e Di Maio.
Oggi arriva in Consiglio dei ministri per quello che dovrebbe essere il via libera definitivo il Decreto Crescita con la norma specifica su Roma, ma il leader del Carroccio minaccia di non votarlo sulla base di un principio di uguaglianza e parità con le altre città: “Aiutiamo tutti o nessuno” come titola il Corriere.
Il filo sottile
A ingaggiare subito la contesa con quest’ultima affermazione o lettura è un titolo di prima pagina de Il Fatto Quotidiano, indiscutibili simpatie grilline, che avvisa: “Il Taglia-debito non c’entra nulla con gli altri comuni in rosso”.
Come dire: è un caso a sé, a parte. Ma presto si capisce che “Roma è solo un pretesto” perché “si legge salva Roma, si traduce caso Siri” è l’abbrivio di una cronaca interna del quotidiano diretto da Marco Travaglio.
Infatti, “è la sorte del sottosegretario leghista alle Infrastrutture, indagato per corruzione, la vera posta in palio nella rissa ormai quotidiana tra i gialloverdi, capaci di rendere isterico anche il lunedì di Pasquetta” scrive il quotidiano.
Perché a poche ore da un Consiglio dei ministri “che vale come uno snodo Lega e Cinque Stelle giocano pesante”, camminano sul filo sottile della crisi di governo a cui nessuno dice di credere a un mese dalle europee, “ma che non è solo un’ipotesi di scuola”, visto che il Carroccio minaccia di non votarla, la norma taglia debito. Di più, perché Salvini “pretende che il salva Roma venga tolto dal Dl Crescita” oggi in Consiglio dei ministri, per poi essere votato in sede di conversione del decreto “assieme alle altre norme per i Comuni”.
Ma “non si capisce bene quali e per chi siano, queste norme”, chiosa Il Fatto.
Tra il preoccupato e lo spaventato per l’evolversi della situazione politica, soprattutto per le posizioni della Lega, il capogruppo del Movimento 5Stelle alla Camera Francesco D’Uva, si rivela con il Corriere della Sera e si dice sicuro che “il governo va avanti”.
Esordisce così nell’intervista. Ma appare più che altro un mantra, una formula di autoconvincimento.
“Abbiamo preso un impegno e, nonostante i battibecchi, dobbiamo realizzare tutti i punti del contratto”. Forse si tratta di qualcosa di più di semplici battibecchi…
“Ora la situazione è un po’ più seria — ammette il capogruppo dei 5 Stelle alla Camera — Un po’ perché ci sono le elezioni e un po’ perché il caso Siri ci ha colpito per la sua gravità (…) questa cosa è molto pesante. Il faccendiere Paolo Arata avrebbe chiesto a Siri un emendamento per sanare interessi nel campo dell’eolico. Arata risulta socio di Vito Nicastri, che è socio del boss Messina Denaro”.
Ma veniamo al punto, I ministri della Lega voteranno il Salva Roma? Risposta di D’Uva: “Non è un Salva Roma, è un provvedimento che elimina la gestione commissariale e fa risparmiare due miliardi e mezzo per abbassare le tasse ai romani, a costo zero per lo Stato. Mi dispiacerebbe se, per guadagnare consensi, si facesse del male ai romani. Ma sono fiducioso, sarà approvato senza problemi”.
Ma il “caso Siri” e i finanziamenti per Roma si muovono si muovono su linee parallele e difficilmente convergenti tra i veti incrociati. E una sindrome di complotto, visto che la Repubblica riporta una dichiarazione di Salvini secondo il quale “non so se sia un caso che mentre il centrodestra, e soprattutto la Lega, vincono e convincono, ci siano iniziative giudiziarie di questo genere”.
Mentre anche la Lega ripete il proprio mantra “non voteremo nessuna norma salva Roma. Non esistono comuni di serie A e serie B. O si aiutano tutti i sindaci in difficoltà o nessuno, la Repubblica ricostruisce i contorni della resa dei conti che si dovrebbe consumare a ore in CdM, perché una cosa è certa: “Di Maio vuole la testa di Siri” secondo il principio che “con la mafia non si scherza”.
Da qui lo strappo del Carroccio. Probabile quanto possibile… anche se “è soprattutto l’escalation mediatica pianificata dal ministro dello Sviluppo a far dubitare della tenuta dell’esecutivo”.
“I quesiti pubblici sono già pronti – scrive la Repubblica – e aspettano solo di essere pubblicati, forse in un post su Facebook. Di Maio chiederà conto dei rapporti tra Siri e Arata, del perché il sottosegretario ha presentato gli emendamenti sull’eolico, del cambio di versione dell’indagato rispetto ai suoi rapporti di conoscenza con l’imprenditore siciliano. E ancora, del contratto di lavoro concesso da Giancarlo Giorgetti al figlio di Arata. Ma i dubbi più pesanti sono rivolti al segretario del Carroccio. ‘Sapevi dell’assunzione di Federico Arata?’, domanderà Di Maio al collega. E gli chiederà anche di ‘fare luce’ sui finanziamenti ricevuti dalla fondazione Più Voci che avrebbe poi girato il denaro a Radio Padania”.
Tutti gli snodi della crescita
Ridotti all’osso fatti&misfatti intorno al Salva Roma sono tutti qua. Sul quale Il Foglio titola che “non salva il governo”. “Dopo averlo covato per quasi un mese il decreto crescita, approvato dal governo “salvo intese” il 3 aprile, torna oggi in Consiglio dei ministri in una versione che più che a salvare il paese dalla stagnazione mira a evitare la rottura Salvini-Di Maio elargendo soldi pubblici a pioggia: l’intervento pubblico da 2,5 miliardi sui debiti di Roma, urgente per il M5s, si estende ai comuni a rischio dissesto di destra e sinistra, poco importa il motivo”.
Perché, spiega il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, “nel pacchetto dovrebbero entrare anche il prolungamento senza scadenza del prestito statale ad Alitalia, i risarcimenti ai risparmiatori cosiddetti truffati dalle banche, dei quali verrebbe soddisfatto intanto il 90 per cento (per il restante ecco commissione “indipendente”), una seconda tranche di rottamazione e cancellazione di multe e tributi locali” così “a un mese dalle europee l’interesse dei due litigiosi partner di governo è distribuire, non investire”.
Dunque? “Almeno la Dc di De Mita e Pomicino non si vergognava delle mance elettorali. E a proposito di mance: ricordate le campagne, via web e sui giornaloni, contro gli 80 euro di Renzi? E queste come le chiamiamo?”, si chiede icastico Il Foglio.