Quelle ascelle irsute (da copertina) che dividono la rete
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Quelle ascelle irsute (da copertina) che dividono la rete

Quelle ascelle irsute (da copertina) che dividono la rete

Antonella Piperno
Copertina Rolling Stone, Halsey
Fonte: Instagram - Copertina Rolling Stone, Halsey
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A 24 anni di distanza da quel film la questione ascellare femminile, intrisa di moda, femminismo e libero arbitrio si riaffaccia prepotentemente, rischiando di diventare uno dei temi caldi di quest’estate 2019 insieme alla procedura d’infrazione dell’Unione europea contro l’Italia. È bastata l'anteprima della copertina di luglio di Rolling Stone con la fascinosa pop star Halsey in canotta bianca aderente, braccia incrociate dietro il collo e ascelle con un’evidente ricrescita pilifera fieramente in vista, ad aprire l’inevitabile dibattito sui social.

Da una parte gli adoratori, capeggiati da colleghi come Benny Blanco e Demi Lovato (“Questa foto ha così tanti “sì” che non saprei nemmeno da dove cominciare”) dall’altra quelli che della cosiddetta “body positivity” se ne infischiano e hanno scritto carinerie come “visto che sei milionaria un po’ di ceretta te la potevi anche fare”. Il fatto è che, anche se agli uomini piacciono poco, i peli femminili esistono da sempre, più o meno prepotenti. E ora, in nome dell’autostima, del woman power, della moda e della liberazione da un modello sociale e da una schiavitù estetica anche parecchio dispendiosa, hanno cominciato ad infrangere il tabù, invadendo copertine e social, come ha appena raccontato anche un’inchiesta del Guardian dal titolo “La nuova rivoluzione femminista delle ascelle pelose: metà affermazione, metà ornamento”.

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Un atto di libertà anche quello in fondo, se non fosse stato archiviato come “passo falso”. Perché la nuova ondata pilifera rientra più in una libertà di scelta che in un discorso del tutto femminista, quello che negli anni Settanta aveva diviso il movimento, da una parte quelle che rivendicavano il messaggio politico dell’ostentazione del polpaccio da calciatore, dall’altra quelle che consideravano la battaglia secondaria e pure un po’ dannosa rispetto a quella più decisiva sul ruolo e sui diritti della donna nella società.

Oggi, è vero, c’è chi vede l’imperativo categorico della depilazione perfetta come un tentativo neanche tanto nascosto di negare la donna adulta e pensante a favore di quella che somiglia a una docile ragazzina in età prepuberale, tant’è i peli femminili non vengono mai mostrati in pubblicità, eccezion fatta il marchio americano di rasoi femminili “Billie” che ha lanciato una campagna in cui invita le donne a postare le loro foto prerasatura e denunciato la cosiddetta “pink tax” cioè il fatto che i prodotti per l’estetica femminile costino di più.

Ma c’è anche chi del dibattito se ne frega, e affronta con un approccio modaiolo la battaglia per la liberazione pilifera: le donne che scelgono di non depilarsi le ascelle, lontanissime dalla sciatteria, sui social ostentano sopracciglia pinzette, capelli parrucchierati e trucco perfetto. E c’è anche chi le ascelle se le tinge, magari con i colori dell’arcobaleno, con un “famolo strano” che sarebbe piaciuto a Verdone e Arcuri. Quando la hair stylist Caitlin Ford ha postato su Instagram una foto delle ascelle unicorno di una sua cliente, che se le era tinte per il Pride di St. Louis, in tante le sono andate dietro, con un trend che spopola su Instagram, Twitter, Facebook e YouTube dove c’è anche un imperdibile tutorial su come dipingersi i peli delle ascelle.

Adesso c’è da vedere se gli uomini si abitueranno a tanta rivoluzione estetico-sociale, sebbene a casa nostra, per quanto riguarda star e attricette varie, siamo fermi alla Arcuri cinematografica e alla Sophia Loren degli anni Cinquanta che sfoggiava ascelle incolte quando il diktat della depilazione non si era ancora affermato. Il solito Vittorio Feltri intanto si è già espresso, nel suo solito modo, spiegando di preferire “una fidanzata pulita come il palmo di una mano, ossia senza cespugli ascellari” e chiarendo invece che “il pube privo di lanugine mi fa ribrezzo”. Ma questa è tutta un’altra storia, che si nutre di cerette alla brasiliana e alla francese. Intanto c’è da registrare l’uscita del rapper Emis Killa che si è appena agganciato al dibattito su “peli sì, peli no” addentrandosi nell’ambito olfattivo. “A una donna non dovrebbero mai puzzare le ascelle, neanche se fa la maratona di New York” ha scritto su Twitter, beccandosi una raffica di commenti sdegnati. Da uomini e da donne, che l’hanno obbligato a rimangiarsi l’affermazione: “Non dovrebbero puzzare neanche gli uomini” ha concesso, bontà sua, il rapper.

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