In un articolo pubblicato su Libero il 26 maggio viene riportata questa dichiarazione di Vittorio Sgarbi: “Da Tar del Lazio decisione impeccabile dal punto di vista normativo. Il problema non è il Tribunale, ma i criteri di nomina che vanno modificati […]. Il Tar ha solo ribadito che, secondo quanto stabilito dal bando, il reclutamento di dirigenti della Pubblica Amministrazione (perché tali i direttori sono considerati) doveva essere riservato solo a candidati italiani, così come previsto dal decreto legge 165 del 2001”.
Il contesto
La dichiarazione di Sgarbi si inserisce nelle polemiche nate dopo due sentenze del Tar del Lazio, con cui i giudici amministrativi hanno bocciato la nomina di cinque dei venti direttori dei super-musei volute dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini.
I ricorsi contro le procedure di selezione erano stati presentati da una candidata alla direzione di Palazzo Ducale e della Galleria Estense di Modena, l’uno, e l’altro da un candidato al ruolo di direttore di Paestum e dei musei archeologici di Taranto, Napoli e Reggio Calabria (si poteva concorrere per più posizioni).
Con il loro accoglimento, è l’intero meccanismo delle nomine a vacillare. Il Tar ha ritenuto – tra le altre cose – che non sia legittima l’assunzione di cittadini stranieri in base alla legge italiana, e 7 direttori su 20 (di cui solo due interessati dalle sentenze in discussione) non sono appunto italiani.
Il ministro Franceschini ha già annunciato un ricorso al Consiglio di Stato, mentre il segretario del Pd Renzi ha scritto su Facebook: “Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar”.
La legge italiana
Tralasciando le critiche mosse dai giudici alla procedura di selezione – ritenuta “magmatica” e poco verificabile – e al colloquio orale, avvenuto a porte chiuse, ci concentriamo sulla questione della possibilità per lo Stato italiano di assumere dirigenti stranieri.
Secondo il decreto legge 165 del 2001, citato da Sgarbi, “i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale” (art. 38).
Per prima cosa, quindi, la legge esclude i cittadini extracomunitari (statunitensi, svizzeri, presto britannici, russi, cinesi etc.). Quanto a quelli comunitari, vengono posti dei limiti: l’esercizio di pubblici poteri e l’attinenza all’interesse nazionale.
Nella stessa legge (art. 38 comma 2) si stabilisce che quelle posizioni per cui è imprescindibile il possesso della cittadinanza italiana siano individuate con decreto del Presidente del Consiglio. Questo decreto prevede che “i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato” siano riservati esclusivamente a cittadini italiani.
Se nel bando di assunzione per i direttori dei musei si fosse voluto derogare a questa previsione normativa, sostengono i giudici del Tar, lo si sarebbe dovuto scrivere esplicitamente. E non è stato fatto.
La sentenza
Dunque parrebbe avere ragione Sgarbi, quando parla di “decisione impeccabile da un punto di vista normativo”.
Ma in realtà tra esperti di diritto si è sviluppato dibattito su queste decisioni del Tar del Lazio. Ad esempio, l’avvocato esperto di diritto amministrativo Gianluigi Pellegrino ha dichiarato a Repubblica: “Non siamo di fronte a un concorso ma a una scelta fiduciaria, anche se previo pubblico avviso. È quindi il ministro, che per altro si è avvalso dell’ausilio di una commissione di esperti internazionali, ad avere l’ultima parola nelle nomine dei direttori dei musei statali”.
La procedura avrebbe insomma avuto un carattere di eccezionalità, secondo Pellegrino, che la porrebbe al di fuori della giurisdizione del giudice amministrativo.
Non solo. Anche il giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese, tra i massimi esperti di diritto amministrativo italiano e comunitario, ha criticato il Tar del Lazio, accusandolo di aver dimenticato “che fin dal 1957 esiste la libera circolazione dei lavoratori in Europa” e di ignorare “che il diritto europeo consente la nomina di cittadini stranieri come direttori di musei anche statali”.
Il diritto europeo, vale la pena ricordarlo, è prevalente rispetto al diritto nazionale e dà ai giudici nazionali la facoltà di disapplicare la normativa italiana in contrasto (cosa che quindi il Tar, secondo la tesi di Cassese, avrebbe dovuto fare ma non ha fatto).
In questo caso, si dovrà accertare il bilanciamento tra il divieto di discriminazione in base alla nazionalità – imposto dai trattati Ue – e la facoltà riconosciuta allo Stato, sempre dal diritto comunitario, di riservare ai propri cittadini alcune posizioni strategiche. Per esempio, è chiaramente legittimo per lo Stato italiano impedire che diventi generale dell’esercito un cittadino tedesco.
Sono insomma questioni giuridicamente complesse, su cui potrà forse fare luce la sentenza del Consiglio di Stato. O forse servirà che si esprima la Corte di Giustizia della Ue, se verrà coinvolta dai giudici amministrativi di ultima istanza (che potrebbero chiedere con un rinvio pregiudiziale che faccia chiarezza sul punto).
Sembra quindi eccessivo definire “impeccabile” la decisione del Tar. Si tratta in fondo di una sentenza di primo grado che, proprio perché “peccabile” in teoria, è possibile portare in secondo grado.
Vero è, come sostiene Sgarbi, che se si fosse intervenuto in anticipo sui criteri di nomina – eliminando la discriminazione in base alla nazionalità per i dirigenti pubblici in generale, o almeno stabilendo delle deroghe esplicite per questo bando in particolare – questo problema non si sarebbe nemmeno mai posto.
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