Commentando le nuove misure annunciate dal governo Gentiloni in tema di immigrazione, Giorgia Meloni ha scritto il 31 dicembre su Facebook che “ogni anno sbarcano in Italia più di 170mila clandestini […] 500mila clandestini in tre anni […]. L'unica svolta seria sarebbe quella di fermare l'invasione attraverso un blocco navale al largo delle coste libiche”.
Il dato numerico sugli sbarchi è corretto, se riferito agli ultimi tre anni. Nel 2016, secondo l’Unhcr, sono arrivate via mare 181.405 persone. Nel 2015 erano state 153.842 e nel 2014 170.100, secondo i dati del Viminale. Un totale di 505.347 migranti per una media annuale di 168.449.
Prima del 2014 invece i numeri erano significativamente più bassi. Secondo quanto riporta Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2013 erano stati 40mila gli arrivi via mare, 15.900 nel 2012, 64.300 nel 2011, solo 4.500 nel 2010 e 11.000 nel 2009. Come sottolinea la stessa Frontex i numeri si riferiscono agli ingressi, non alle persone, altrimenti sarebbero più ridotti. Infatti una singola persona può tentare più volte di entrare nel Paese.
La qualifica di “clandestini” riferita a tali migranti è poi criticabile, anche se non si può dire sia palesemente errata in assenza di una definizione di legge del termine. Con “clandestini” tuttavia si qualificano normalmente gli immigrati irregolari. Dei 181.405 migranti arrivati nel 2016, invece, oltre 110mila sono richiedenti asilo (facendo la somma delle stime mensili fornite dal ministero dell’Interno risulta che a ottobre erano 98.447 e la media annuale è di 9.845 al mese). Ancora non è noto il dato su quante richieste sono state esaminate e con quali esiti nel 2016, ma guardando agli anni precedenti si vede - dati del Viminale - che nel 2015 furono esaminate 71.117 richieste su 83.970 presentate, e che al 42% dei richiedenti fu concesso lo status di rifugiato (5%) oppure di avente diritto alla protezione umanitaria (22%) o alla protezione sussidiaria (14%). Nel 2014 erano state esaminate 36.270 richieste su 63.456 presentate, accogliendone il 61% (stessa percentuale di accoglimenti del 2013).
Si può insomma dire che una corposa minoranza delle persone che arrivano via mare in Italia hanno diritto a ricevere la protezione internazionale. Quanto alla possibilità di impedire il loro arrivo con “un blocco navale al largo delle coste libiche”, a meno che non si voglia dichiarare guerra alla Libia, è semplicemente impossibile. Come spiega l’ammiraglio Fabio Caffio, tra i massimi esperti delle questioni di diritto marittimo in Italia, nel suo Glossario di diritto del mare, “il blocco navale è una classica misura di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante […]. Esso deve essere formalmente dichiarato e notificato agli Stati terzi […]. Con l’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite del 1945 il blocco non può ritenersi consentito al di fuori dei casi di legittima difesa di cui all’art. 51 della stessa Carta […]. Per questo motivo «il blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato» è compreso tra gli atti di aggressione”.
Il termine “blocco navale”, auspicabilmente, viene quindi usato in modo improprio da Giorgia Meloni, che tuttavia non è chiaro allora a cosa si riferisca. Se parla infatti di un blocco navale in senso improprio, richiesto cioè dalla stessa Libia e avallato dall’Onu, le attuali condizioni sociali, politiche ed economiche del Paese nord-africano lasciano pensare che sia di fatto impossibile o quasi.
La Libia al momento è un Paese nel caos della guerra civile, con il governo debole di Serraj a Tripoli che non controlla nemmeno l’intera Tripolitania, il generale Haftar che occupa la Cirenaica e governa da Tobruk, il sud del Paese nelle mani dei predoni e dei miliziani, l’economia in coma e il tessuto sociale distrutto. Se il governo di Serraj facesse schierare la marina militare italiana (ex potenza coloniale) al largo delle sue coste probabilmente perderebbe quel poco di consenso che ancora riscuote in patria con il rischio di gravi ripercussioni.
Non è poi percorribile neppure la strada dei “respingimenti forzati in mare”, come accadeva dopo il 2009 grazie all’accordo tra Berlusconi - allora premier - e Gheddafi. All’epoca le barche venivano intercettate e riportate nei porti libici da cui erano partite dalle unità italiane, senza procedere a nessuna identificazione o valutazione di situazioni che avevano bisogno di assistenza. Ma nel 2012, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò all’unanimità l’Italia per quella politica. I respingimenti in alto mare uniti all’assenza di una procedura efficace di ricerca dei richiedenti asilo costituiva - nelle parole dei giudici della Corte - “una grave violazione del divieto di espulsioni di massa di stranieri e, di conseguenza, del principio di non respingimento”. Giorgia Meloni utilizza quindi numeri corretti, anche se li associa erroneamente ai “clandestini”, ma la soluzione che propone - quella del blocco navale - è impraticabile.
Su Facebook Giorgia Meloni replica a Pagella Politica e sostiene che il blocco navale su può fare. Secondo la presidente di FdI se il blocco può essere visto come atto di guerra lo stesso può dirsi per quella che definisce una "invasione pianificata".
Leggi il post di Giorgia Meloni su FacebooK: blocco è legittima difesa
Ultimo aggiornamento ore 19:55