Il 3 gennaio un gruppo di accademici e esperti di cultura ha pubblicato un manifesto per la tutela dei beni culturali in Italia. Nel documento viene attaccata la riforma Franceschini, che nel 2014 ha riorganizzato il Mibact (Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo) e le sue strutture, a partire dai musei e dalle fondazioni.
Il manifesto è critico in particolare nei confronti di quella che viene definita come la scelta di privilegiare la “valorizzazione (nel senso di monetizzazione)” a discapito della tutela.
Per dare supporto alle tesi del firmatari, vengono riportati anche numerosi esempi e dati relativi a decisioni riconducibili al ministro e agli ultimi governi. Abbiamo analizzato se siano corretti e precisi. E possiamo dire che in molti casi non lo sono stati.
La spesa per la cultura
Uno dei primi argomenti presentati nel manifesto è che “la spesa statale per la cultura rimane una delle più basse d’Europa, un terzo di quella francese, metà di quella spagnola, e i suoi recenti relativi incrementi, beninteso rispetto al minimo dello 0,19% del bilancio statale toccato nel 2011 (governo Berlusconi IV) rispetto allo 0,39 % del 2000 (governo Amato II), vengono indirizzati su obiettivi futili o sbagliati”.
L’ultima valutazione di merito non compete a questa analisi, ma possiamo approfondire i dati.
Eurostat riporta che nel 2015 (ultimo anno disponibile) l’Italia ha investito lo 0,7% del proprio Pil in cultura, come Grecia e Regno Unito, e meglio solo dell’Irlanda (0,6%), a fronte dell’1% della media Ue. La Spagna investe l’1,1% e la Francia invece l’1,3%.
E anche se si guarda alla percentuale di spesa in rapporto al totale della spesa pubblica, le posizioni sono simili. L’Italia è sempre penultima con l’1,5%, al pari del Regno Unito, e dopra solo alla Grecia (1,3%). La Spagna in questo caso è al 2,6% e la Francia al 2,3%, mentre la media Ue si attesta sul 2,2%.
I dati riportati dal manifesto sono in ogni caso sbagliati, perché anche se è vero che Francia e Spagna investono molto di più in rapporto al Pil o in rapporto al totale degli investimenti, non è vero che, rispetto all’Italia, questa spesa sia rispettivamente tre e due volte superiore.
Chi ha scritto il manifesto ha probabilmente fatto confusione. Le percentuali, infatti, sembra si riferiscano non alla spesa per cultura come comunemente intesa dalle statistiche europee ma alle dimensioni del bilancio del ministero. Nel 2011, il bilancio del MiBact era effettivamente lo 0,19% di quello statale e nel 2000 lo 0,39%. Chi ha redatto il manifesto ha eguagliato la spesa totale sulla cultura italiana con i conti del Mibact, che però sono due cose differenti.
Peraltro, mentre è possibile un raffronto con gli altri Paesi europei sulla spesa in cultura, non sarebbe invece semplice un confronto sui costi dei ministeri: per esempio, quello francese è titolare di Cultura e comunicazioni, e quindi si occupa anche di ambiti esterni a quello italiano (il settore comunicazioni, in Italia, è assegnato al Ministero dello Sviluppo Economico).
Quelle iniziative un po’ così
Altro punto dolente della gestione Franceschini sarebbe, secondo il manifesto, l’idea di incentivare mostre e iniziative che poco avrebbero a che fare con l’identità dei luoghi che le ospitano.
In una frase viene detto che “si investono ben 18 milioni di euro nell’arena Colosseo per chissà quali spettacoli gladiatori”. Il manifesto si riferisce al Piano strategico del Mibact noto come “Grandi progetti Beni culturali”, che prevede investimenti per 80 milioni di euro in 12 diversi progetti.
Sono 18,5 i milioni di euro destinati al Colosseo. Nelle intenzioni del Ministero non sono soldi investiti “per spettacoli gladiatori”, naturalmente, ma per svolgere “un intervento di tutela e valorizzazione volto al ripristino dell'Arena del Colosseo al fine di consentirne un uso sostenibile per manifestazioni di altissimo livello culturale, permettendo nel contempo ad una ‘domanda’ mondiale di fruire di una nuova esperienza di visita di straordinario valore”.
Insomma, la cifra è effettivamente quella riportata nel manifesto, e l’obiettivo dichiarato - su cui ciascuno può avere la propria opinione - è “ripristinare” il Colosseo con pavimentazione e copertura perché possa essere utilizzato per fare spettacoli di vario tipo, ma anche perché possa incentivare ancora più turisti a visitarlo. Il manifesto compie quindi un errore nello specificare come quei soldi siano investiti.
È vero poi che siano state realizzate “gare di canottaggio nella vasca della Reggia di Caserta” (qui il video) e che sia stata organizzata “al grande Museo Archeologico Nazionale di Napoli una mostra sul Napoli Calcio con magliette, ricordi e gadget di Maradona”.
Codice per il Paesaggio e Piani paesaggistici
Il manifesto passa poi ad analizzare il tema del territorio italiano e della sua importanza per il sistema culturale del Paese. “Si declama ad ogni passo la Bellezza dei paesaggi italiani, sempre più aggrediti da speculatori e abusivi”, è scritto, “e per contro si lascia che la stragrande maggioranza delle regioni (17 su 20) non predisponga, d’intesa col Ministero, e poi approvi, i Piani paesaggistici previsti dal Codice per il Paesaggio del 2007”.
Facciamo un po’ di chiarezza. Il Codice per il Paesaggio (nome completo “Codice dei Beni culturali e del paesaggio”) è stato introdotto nel 2004. In particolare la modifica del 2007 cui si riferisce il manifesto era stata effettuata dall’allora ministro Francesco Rutelli, compagno di partito di Franceschini nella Margherita, ed era entrata in vigore nel 2008. A parlare dell’obbligo di predisporre Piani paesaggistici per ogni regione è l’articolo 135 del III capitolo della terza parte, quella appunto relativa ai beni paesaggistici.
Nel manifesto si scrive che solo tre Regioni a oggi hanno approvato un loro piano regionale, mentre le altre 17 non sarebbero ancora in regola. Anche qui c’è qualche imprecisione.
Un documento del Ministero riassume la situazione all’agosto 2017: due regioni (Sardegna e Lazio) hanno già attivi dei piani che erano stati approvati poco prima dell’ultima correzione del 2008, tre regioni (Piemonte, Puglia e Toscana) hanno già approvato i piani “in co-pianificazione”, altre due regioni tra quelle già elencate (Piemonte e Lazio) hanno inoltre piani “in fase di approvazione”, sette regioni (Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Umbria, Veneto) hanno invece “attività di co-pianificazione in corso”, infine sei regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Molise, Sardegna) hanno “tavoli di co-pianificazione di recente o prossima attivazione”.
È dunque vero che “la stragrande maggioranza delle regioni”, come si legge nel manifesto, non abbia ancora approvato i piani paesaggistici d’intesa con il Ministero, ma non è corretto dire che questi non siano neppure stati predisposti. Effettivamente sono tre le regioni che li hanno già approvati (Piemonte, Puglia e Toscana) mentre una è in fase di approvazione (Lazio), ma altre sette hanno già tavoli aperti e solo sei devono ancora attivarsi.
Mancano a questo elenco tre regioni (Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta), che però “hanno piena autonomia in materia di paesaggio in virtù delle disposizioni dei loro statuti”. Infine, come riportato in un altro documento di sintesi del Ministero, alcune regioni hanno in realtà già un piano paesaggistico approvato unilateralmente (Calabria, Lazio, Lombardia, Sardegna). In quest’ottica sarebbero dunque sette e non tre le regioni che hanno già un piano paesaggistico.
Se si guarda inoltre alla situazione prima che Franceschini diventasse ministro nel 2014 si può dire che sia leggermente migliorata: oggi tutte le regioni, anche quelle che non avevano né approvato autonomamente un proprio piano né avevano ancora attivato un tavolo di co-pianificazione con il Ministero, stanno lavorando o mettendosi al lavoro sui propri piani paesaggistici. In particolare tra il 2015 e il 2017 sono stati siglati diversi protocolli e disciplinari per procedere con i lavori di co-pianificazione.
Parchi nazionali e aree protette
Ultima dichiarazione verificabile del manifesto è quella sulle aree protette. Si legge che gli ultimi governi e Franceschini avrebbero effettuato un “tentativo dissennato – stornato per questa legislatura dalle opposizioni – di svuotare la legge Cederna-Ceruti n. 394/91 sulle aree protette (il 12% ormai del territorio nazionale, montano soprattutto, con 23 Parchi Nazionali rispetto ai quattro ante 1991) anziché aggiornarla al Codice per il Paesaggio e applicarla seriamente”.
Premessa: non è il Ministero dei Beni culturali a occuparsi in primo luogo delle aree protette in Italia. Queste sono infatti di competenza del Ministero dell’Ambiente, che ne stila l’elenco. L’ultimo aggiornamento risale al 2010, quando i parchi nazionali furono portati a 24 (ma uno, quello di Orosei e del Gennargentu, pur essendo formalmente istituito nel 1998 non è operativo), mentre prima del 1991 erano sei: Gran Paradiso (1922), Abruzzo (1923), Circeo (1934), Stelvio (1935), Calabria (1968, poi suddiviso in Aspromonte nel 1994 e Sila nel 2002) e Dolomiti Bellunesi (1990).
È opportuno anche ricordare che esiste un 25esimo parco nazionale (che però escludendo quello di Orosei e Gennargentu risulterebbe come 24esimo), che è stato istituito proprio nel 2016, per decreto presidenziale, sull’Isola di Pantelleria.
Non sono quindi precisi i dati riportati dal manifesto, che pare non considerare i due parchi nazionali di Gennargentu e Pantelleria, restando al totale pre-2010, e sbaglia inoltre il conto su quanti parchi esistessero prima del 1991.
In totale, come riporta Legambiente, le aree protette a livello nazionale sono oltre il 10% del territorio, simile al “12% del territorio” di cui parla il manifesto.
Quanto al “tentativo dissennato di svuotare la legge Cederna-Ceruti sulle aree protette”, probabilmente il manifesto si riferisce al disegno di legge di riforma dei parchi che interviene proprio sulla legge 394/91. Questo ddl è stato approvato in prima lettura al Senato il 10 novembre 2016, alla Camera con modificazioni il 20 giugno 2017 ed ora è di nuovo in Senato in corso di esame in commissione. Essendo state però sciolte le Camere dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il ddl non potrà essere discusso prima che le nuove Camere attivino i propri lavori dopo le elezioni del 4 marzo.
Nel novembre 2017, quando la legge era in attesa al Senato per la seconda lettura, sia il Ministero dello Sviluppo economico sia la Ragioneria dello Stato avevano segnalato criticità da risolvere in alcuni punti del testo. Numerose associazioni ambientaliste, poi, si erano dette molto contrarie alla legge di riforma dei parchi prima della sua prima approvazione al Senato.
Conclusioni
Come sempre evitiamo di addentrarci in valutazioni di tipo politico. Per quanto riguarda i numeri che cita, possiamo dire che il Manifesto per la tutela dei beni culturali ha di solito ragione nella sostanza ma sbaglia su diversi dettagli.
In particolare non è vero che l’Italia investa un terzo della Francia e metà della Spagna in cultura, anche se rimane uno dei Paesi europei con minor spesa per il settore. È sbagliato dire che solo tre regioni abbiano piani paesaggistici e che le altre 17 non li abbiano né abbiano fatto passi anche recenti per munirsene. Infine, sul tema dei parchi nazionali, c’è qualche imprecisione sui numeri.