Ospite di Giovanni Floris su La7, lo scorso 4 aprile, Alessandro Di Battista ha dichiarato: “Non so se lo sanno tutti i cittadini ma Banca d’Italia di fatto non è pubblica, perché appartiene a quelle banche private che dovrebbe controllare”.
Questo è un cavallo di battaglia del deputato pentastellato, già usato anche in passato. Si tratta di un’affermazione fuorviante, dato che da una premessa vera, almeno formalmente (Banca d’Italia “appartiene a quelle banche che dovrebbe controllare”) si fa discendere una conseguenza falsa (“di fatto Banca d’Italia non è pubblica”). La questione è abbastanza complicata e l’avevamo esposta con più dettagli qui: proviamo a riassumerla con ordine.
La proprietà in mano ai privati
Banca d’Italia è pubblica ma le sue quote appartengono per il 95% ai privati. Bankitalia, come dichiara l’articolo 1 del suo Statuto, è un “istituto di diritto pubblico” e “i componenti dei suoi organi [...] non possono sollecitare o accettare istruzioni da altri soggetti pubblici e privati”, in linea col principio di indipendenza che tutte le banche centrali del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) sono chiamate a rispettare. Formalmente, quindi, l’indipendenza della banca è scritta in testa al suo statuto.
Tuttavia, il capitale di Banca d’Italia è distribuito in quote di partecipazione a banche e imprese di assicurazione private per ben il 95% (qui l’elenco dei soci con le rispettive quote), motivo per cui il M5s mette in dubbio la sua natura pubblica.
Questo solo dato non è però sufficiente a confermare l’affermazione di Di Battista. Vediamo il perché.
I limiti ai privati su voto in assemblea
Perché il possesso della maggioranza delle quote da parte di privati non compromette l’indipendenza di Banca d’Italia
Innanzitutto esistono dei limiti rilevanti alla partecipazione dei privati. In particolare, ciascuna società non può detenere più del 3% del capitale, per evitare che appunto un privato possa prendere il controllo della maggioranza delle quote della Banca (l. 29 gennaio 2014, n.5).
O meglio, le partecipazioni eccedenti il 3% che pure esistono non ricevono né maggiore rappresentanza né maggiori dividendi sulle quote in eccedenza, che vengono invece trasferite alle riserve statutarie della Banca.
Ma – è la facile obiezione – se i privati si mettessero d’accordo tra di loro facendo “cartello” potrebbero influenzare le decisioni della Banca nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, portandola ad agire nell’interesse dei privati e non nell’interesse pubblico.
Anche questo timore è largamente privo di fondamento. I privati che detengono quote di capitale hanno una possibilità di ingerenza molto limitata nella gestione della Banca. Riuniti nell’Assemblea dei partecipanti (artt. 4-14 Statuto) eleggono il Consiglio superiore, che tuttavia “non ha alcuna ingerenza nelle materie relative all’esercizio delle funzioni pubbliche” di Banca d’Italia e del Governatore “per il perseguimento delle finalità istituzionali”.
L’unica influenza rilevante del Consiglio è la nomina dei membri del direttorio della banca centrale escluso il governatore, ovvero il Direttore generale e i Vicedirettori generali, ma su “proposta del Governatore” (art. 18.3), che quindi ne limita fortemente la scelta. Insomma, c’è un ruolo per i partecipanti alle quote di Banca d’Italia, ma esso è molto ridotto.
Chi ha il vero potere e chi lo nomina?
La carica più importante dell’istituto è quella del Governatore. La sua nomina è di natura completamente pubblica. La nomina, il rinnovo del mandato e la revoca dello stesso “sono disposti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore” (art. 18.1). In questo processo le banche private non hanno un ruolo al di fuori di un parere non vincolante.
Insomma, la nomina del Governatore, la carica più alta di Banca d’Italia e – occorre ricordare – colui che rappresenta la stessa nel Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea (BCE), dove si decide la politica monetaria per tutta l’area Euro, è pubblica, in quanto è proposta dal governo e disposta dal Presidente della Repubblica.
Ma c’è un altro elemento importante. Per quanto riguarda la supervisione prudenziale (il “controllo” delle banche) c’è da notare che in seguito alla recente unione bancaria le competenze di Banca d’Italia, così come quelle delle altre banche centrali dell’Eurozona, sono state ridotte drasticamente a favore della BCE.
Conclusione
In conclusione dunque possiamo dire che sia vero che la stragrande maggioranza delle quote di Banca d’Italia appartiene ai privati, come giustamente sostiene Di Battista. Tuttavia, considerato lo Statuto della Banca stessa, non è vero che da questo deriva una effettiva capacità di indirizzare l’azione di Banca d’Italia verso il soddisfacimento di interessi privati. Una possibilità oltretutto resa ancor più remota dal sistema europeo di vigilanza bancaria comune.