Il 27 giugno Inail, Istat, Inps e Ministero del Lavoro hanno pubblicato in contemporanea la terza Nota congiunta sulle tendenze dell’occupazione. I dati si riferiscono ai primi tre mesi del 2017. Questa pubblicazione è stata commentata con toni piuttosto duri dai portavoce del M5S alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, Sara Paglini e Silvia Chimienti. Vediamo le critiche principali all’operato del governo e i numeri su cui si basano.
1. «Dopo ben 9 anni, l’Italia non ha ancora raggiunto i livelli occupazionali pre-crisi»
Se guardiamo al tasso di occupazione, l’affermazione è corretta. Nel primo trimestre del 2017 aveva un lavoro, in Italia, il 57,6 per cento delle persone tra i 15 e i 64 anni (dati destagionalizzati): ovvero 22,8 milioni di persone.
Negli ultimi dieci anni (2008-2017), si è toccato il minimo nel terzo trimestre del 2013, quando il tasso di occupazione era del 55,4 per cento, e il massimo nel secondo trimestre del 2008, quando si raggiunse il 58,8 per cento. Allora gli occupati erano 23,1 milioni, su una popolazione che era oltretutto un po’ inferiore. Prima dell’inizio della crisi, bisogna tornare al 2005 per trovare tassi di occupazione più bassi di quelli di oggi. Dunque è vero che i livelli occupazionali pre-crisi non sono ancora stati recuperati.
2. «Soprattutto dal 2016, ovvero, dal momento in cui gli sgravi contributivi previsti nel Jobs Act sono stati fortemente ridotti, a crescere sono stati principalmente i contratti a tempo determinato»
Gli sgravi cosiddetti “del Jobs Act” sono stati stabiliti con le leggi di stabilità per il 2015 e per l’anno successivo, ma sono terminati a partire dal 2017. Permettevano alle aziende di fare assunzioni a tempo indeterminato ottenendo forti riduzioni nei contributi previdenziali da versare per quei lavoratori.
Come si vede dai grafici contenuti nella Nota congiunta, mentre per tutto il 2015 i nuovi assunti a tempo indeterminato sono stati molti di più di quelli a tempo determinato, a partire dal secondo semestre 2016 c’è stata un’inversione di tendenza, con il sorpasso delle nuove posizioni lavorative a tempo determinato. Ma nel primo trimestre del 2017 la crescita del tempo indeterminato è tornata a prevalere: +75 mila rispetto a +42 mila.
Su questo punto, insomma, gli esponenti del M5S danno una lettura un po’ semplificata: per prima cosa, il record nelle nuove assunzioni a tempo indeterminato è stato proprio all’inizio del 2016 con +271 mila posizioni lavorative di quel tipo; nell’ultimo trimestre, poi, i lavori a tempo indeterminato sono tornati a crescere di più – in termini assoluti – rispetto a quelli a tempo determinato. È comunque vero che nel secondo, terzo e quarto trimestre del 2016 la crescita maggiore è stata nelle posizioni lavorative a termine e che su questo, anche secondo la Nota, ha avuto un ruolo la fine delle decontribuzioni.
3. «I giovani continuano ad essere la categoria più penalizzata»
I portavoce del M5S dichiarano che «i giovani continuano ad essere la categoria più penalizzata. Sul punto, infatti, bisogna evidenziare il calo tendenziale dello 0,9% (-85 mila unità), proprio nella fascia di persone che hanno fra i 35 ed i 49 anni».
Ma in questa presentazione dei dati c’è un errore. Infatti, come spiega la stessa Nota congiunta, la diminuzione di quanti lavorano tra i 35 e i 49 anni, in numeri assoluti, dipende dal fatto che è tutta la popolazione in quella fascia d’età ad essere calata: «a fronte di un calo di popolazione annuo del 2% – scrive la Nota – la variazione nel numero di occupati è meno intensa (-0,9%), e sarebbe stata positiva (+1,1%) in assenza del calo demografico».L’occupazione tra i 19 e i 34 anni, poi, ha visto un aumento nel primo trimestre del 2017 secondo tutti gli indicatori.
Insomma, è sbagliato interpretare i numeri più recenti come la prova che i giovani continuino ad essere la categoria più colpita dalla crisi, a livello occupazionale.
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