Pronto il rimpatrio degli italiani, ma manca il via libera di Pechino

Sono una sessantina i connazionali che rientreranno da Wuhan. Il bilancio delle vittime per il virus cinese è salito a 170 morti e 7.700 contagiati, più della Sars. Nove i casi in Europa

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Sale a 170 il numero dei morti per il coronavirus mentre si registra una impennata dei contagi con 1.700 nuovi casi, che si sommano ai circa 6.000 già accertati. Un tasso più alto di quello della Sars. Il numero delle vittime è salito a 170 a causa di 37 decessi nella provincia dell'Hubei, dove si è diffusa la malattia e uno nella provincia sud-occidentale di Sichuan.

Intanto tutto è pronto per la partenza dell'aereo che dovrà riportare una sessantina di italiani in patria da Wuhan, la città cinese epicentro dell'epidemia del coronavirus. Mancano però ancora "alcuni passaggi" per il via libera definitivo del governo di Pechino alla partenza dei connazionali, spiegano fonti della Farnesina, assicurando comunque che il governo lavora senza sosta per organizzare il loro ritorno il prima possibile. La quarantena "sarà limitata ad un quindicina di giorni, che è il periodo d'incubazione del virus", ha annunciato il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri (M5s). Dove? Non in un atollo del Pacifico centrale, come fa il governo australiano, ma, ha fatto sapere il ministero della Salute, presso gli ospedali che sono i centri di riferimento regionale per le malattie infettive.

Nei casi più gravi, qualora servissero cure particolari, si può essere portati all'ospedale Sacco di Milano o allo Spallanzani a Roma, i due centri nazionali di riferimento. In Italia non vi sono casi, dopo che quello di Napoli è risultato negativo. "In Italia abbiamo i controlli più alti. Ho chiesto una riunione internazionale di tutti i ministri della Salute della Ue per capire come affrontare la situazione", ha affermato il ministro della Salute, Roberto Speranza.

"La situazione - ha aggiunto - è molto seria e non va sottovaluta, abbiamo allestito da alcuni giorni una task force dedicata, ma non va sparso allarmismo, stiamo parlando al momento di 9 casi di contagio in tutta Europa. Vorrei che anche gli altri Paesi Ue facessero altrettanto e ci coordinassimo tutti quanti".

L'Oms: "Il mondo stia in allerta"

Mercoledì l'appello dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: "Il mondo intero stia in allerta: deve agire". Per il capo delle Emergenze, Michael Ryan, l'epidemia causata dal nuovo coronavirus della polmonite va considerata una emergenza globale, contro la quale i Paesi non possono far altro che fermare i viaggi da e per il Dragone.

In particolare, l'Oms ha espresso "seria preoccupazione" per Germania, dove i casi sono 4, Vietnam e Giappone. In Francia i casi sono 5. "Il continuo aumento dei casi e la prova di trasmissione uomo a uomo fuori dalla Cina sono entrambi profondamente preoccupanti", ha dichiarato il capo dell'organizzazione Onu, Tedros Adhanom Ghebreyesus in conferenza stampa dopo la sua missione in Cina.

"Sebbene il numero di casi fuori dalla Cina sia ancora relativamente basso, c'è il potenziale per un'epidemia di molto più ampia", ha aggiunto il Ghebreyesus, che anche oggi è stato impegnato a difendersi da quello che ha definito un "errore umano", ovvero l'indicazione di un livello 'moderato' di rischio, corretta dopo qualche giorno in 'alto', della diffusione del virus.

La diffusione del coronavirus

Finora il nuovo coronavirus è stato rilevato in altri 15 Paesi oltre la Cina. Ghebreyesus ha poi riferito che Pechino ha acconsentito all'invio sul territorio cinese di un team internazionale di esperti dell'Oms, ma non ha fornito la tempistica della missione. Secondo Ryan, anche lui in missione con Ghebreyesus, "la catena di trasmissione puo' ancora essere interrotta con le misure di igiene necessarie, di individuazione e di isolamento dei casi".

La situazione più difficile resta in Cina, definita "cupa" dal presidente Xi Jinping. In molte città dello Hubei, sottoposte a cordone sanitario settimana scorsa, battaglia contro il virus è "a un punto critico", ha dichiarato il governatore, Wang Xiaodong, che ha citato, in particolare, il caso di Huanggang, centro di 7,5 milioni di abitanti. "Non lasceremo che Huanggang diventi una seconda Wuhan", ha detto Wang, aggiungendo che sono state inviate squadre di ispezione nella città e che "la mancanza di risorse mediche è uno dei problemi più gravi che ci troviamo ad affrontare". Il Dragone ha visto chiudere nelle ultime ore le filiali di multinazionali: Toyota, Ikea, Starbucks.

La corsa al vaccino

Intanto è corsa contro il tempo per la realizzazione di un vaccino. Ci provano, tra gli altri, Stati Uniti e, congiuntamente, Russia e Cina. "Spero di sbagliarmi ma non credo che possa essere pronto entro un anno o comunque molti mesi. Ho la sensazione che questa epidemia dovremo affrontarla con quello che abbiamo. Non abbiamo farmaci, non abbiamo vaccini, ma abbiamo la possibilità di fare diagnosi e noi in Europa dobbiamo mettere tutto il nostro impegno nell'ostacolare la diffusione", ha spiegato il virologo Roberto Burioni.

"Se una malattia - ha aggiunto - ha il 3% di mortalità ed è molto diffusa è una catastrofe. La Spagnola nel 1918 ha avuto il 2% di mortalità. Ai seimila casi diagnosticati bisognerebbe aggiungere come minimo uno zero". 

L'impatto sull'economia

Si comincia ad avvertire l'impatto sull'economia: la previsione è di una crescita sotto il 5% nel primo trimestre. "Il nuovo coronavirus in Cina crea incertezza per le prospettive di crescita dell'economia globale, anche se parte dei rischi collegati alle tensioni commerciali sono diminuiti", ha ddeto il capo della Fede, Jeorme Powell. Le ultime ore sono state segnate dai rimpatri dei non cinesi, e dalle decisioni con cui le grandi compagni aeree hanno lasciato a terra alcuni voli da e per Wuhan e , in alcuni casi, per altre rotte come Shangai: British Airways, Klm, Lufthansa, Air France, Iberia.Gli europei che hanno chiesto di essere rimpatriati sono circa 600: una volta tornati, saranno messi in quarantena fin quando non sarà accertata l'assenza di sintomi del virus.​

Ikea chiude tutti i punti vendita in Cina

Il gigante svedese dei mobili per la casa, Ikea, ha deciso di chiudere temporaneamente tutti i punti vendita che operano nel Paese asiatico, dopo la diffusione dell'epidemia. La decisione arriva all'indomani della comunicazione della chiusura di metà degli store. Il colosso svedese conferma di essere al lavoro con le autorità locali di città e le aree in cui opera e di "agire in linea con le loro raccomandazioni mentre si evolve la situazione".



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