Nella cassaforte di un giornale si nasconderebbero segreti su Trump che potrebbero fargli molto male
Tutti i segreti del Presidente sarebbero stati custoditi in una cassaforte del settimanale americano National Enquirer

Chissà cosa c’era in quella cassaforte, che si dice nascondesse i segreti più piccoli e più sporchi di un presidente degli Stati Uniti discusso quanto lo è Donald Trump.
Forse le prove definitive riguardo quella storia che lo vorrebbe aver avuto un figlio illegittimo da una donna delle pulizie del suo appartamento di Manhattan? Al momento di certo c’è solo che per avere la testimonianza della gola profonda di turno, un portiere dall’improbabile nome di Dino Sajudin, il National Enquirer sborsò 30.000 dollari, facendogli però firmare l’impegno a non parlarne con altri pena doverne restituire un milione.
O forse la vera, definitiva versione della storia di un Trump appena convolato a giuste nozze con Melania, ma stregato dalle innegabili grazie di una ex coniglietta di Playboy? Il pagamento corrisposto alla venere in versione patinata, tale Karen McDougal, fu di 150.000 dollari.
Un’atomica o un bluff
Comunque in entrambi i casi la storia non ha mai visto la luce. E allora delle due l’una: o al National Enquirer amano acquistare delle grosse quanto inequivocabili bufale, o sanno investire sul futuro. Perché ci sono certe notizie che sono come il vino: più le tieni a invecchiare, più diventano pregiate.
Terza ipotesi sulla cassaforte di David Pecker, direttore del settimanale scandalistico più letto d’America (ma non salvo per questo dall’essere indebitato fino al collo), grandi baffi bianchi e sorriso sicuro di chi ne ha viste letteralmente di tutti i colori: c’era qualcosa di ancora più grande, più pericoloso, meno raccontabile di queste storie di conigliette e donne delle pulizie. Qualcosa magari di inimmaginabile. Un’arma atomica che potrebbe far saltare tutto: matrimonio, presidenza, tutto di tutto. O magari è solo il bluff di chi sa gestire le news (qualcuno sostiene le fake news) ancor meglio dello stesso Presidente.

Cent’anni di improntitudine
Al National Enquirer sanno bene come si fa. Sono cent’anni che lo fanno. Il settimanale nacque nel 1926, con il nome di The New York Evening Enquirer. I soldi ce li mise William Randolph Hearst, l’uomo che sarebbe stato immortalato ad Hollywood da Orson Welles in “Quarto potere”. L’editore che, con i suoi giornali, spinse gli Usa a fare la guerra alla Spagna per Cuba.
Hearst ci metteva i soldi, usando la sua ultima creatura come sperimentazione costante per saggiare le reazioni del grande pubblico alle sue nuove idee. Se funzionavano, le usava per le sue testate principali. Insomma, l’Enquirer era più o meno una bad company.
Da bad company si comportò per un paio di decenni, attaccando da destra il New Deal di Roosevelt, cavalcando l’isolazionismo di America First, scoraggiando persino le truppe americane al fronte della Seconda guerra mondiale.
Elvis salì in cielo
Poi, nel ’53, arrivarono soldi freschi ed un nuovo genere giornalistico, il trash urbano dei titoli grondanti sangue. I fondi questa volta provenivano da un’altra famiglia di editori, i Pope fondatori de Il Progresso Italoamericano. Fu l’epoca d’oro delle storie di quotidiano cannibalismo e dei delitti più efferati, ispirate (parola di Generoso Pope Jr) dalla morbosa curiosità che porta la gente più normale ad assieparsi attorno alle auto rimaste coinvolte nei peggiori incidenti stradali.
Quindici anni di horror tra le mura di casa che si conclusero con la scoperta di un nuovo filone, quello degli Ufo, delle celebrità, dell’occulto. Sintetizzabili in una vicenda: Elvis Presley non è mai morto, lo hanno rapito i marziani.

Il complottismo rende
Era l’inizio del complottismo e della realtà alternativa. Mentre il New York Times rivelava l’esistenza dei Pentagon Papers sul Vietnam e la Washington Post si dedicava a tutti gli uomini del Presidente, il National Enquirer si concentrava sull’Area 51 e su chi avesse ispirato gli assassini di Sharon Tate. Alla fine vendeva un milione di copie a numero. E preparava il terreno all’avvento del Profeta della realtà alternativa, Donald Trump.
L’ambasciata mancata
La campagna elettorale del 2016 vede il settimanale schieratissimo con il futuro Presidente, a cominciare con la pubblicazione di una serie di presunte rivelazioni sul suo principale antagonista nella corsa alla candidatura repubblicana, Ted Cruz. Nell’ordine: il padre di Cruz frequentava Lee Harvey Oswald pochi giorni prima che questo sparasse a John Fitzgerald Kennedy; Ted Cruz ha avuto una, due, tre, quattro, addirittura cinque amanti e si erge a protettore dei sani valori della famiglia americana.
Trump era talmente contento del suo settimanale preferito che ad un certo punto prese a circolare la voce che avesse promesso all’amico Pecker una nomina ad ambasciatore in caso di vittoria elettorale.
La vittoria ci fu, la nomina no. E nella cassaforte le carte si accumulavano, magari in attesa di essere pubblicate. Magari di non esserlo mai. È l’altra faccia del giornalismo, specie di quello scandalistico.
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