Cosa pensa Trump? La Corea del Nord chiede aiuto ai repubblicani

Secondo il Washington Post, diplomatici di Pyongyang all'Onu hanno avvicinato esponenti del think-tank conservatore vicino al presidente per capire le sue vere intenzioni

Cosa pensa Trump? La Corea del Nord chiede aiuto ai repubblicani

La Corea del Nord vuole capire Donald Trump, e per farlo, chiede aiuto agli analisti vicini al Partito Repubblicano. Nel pieno dell’escalation verbale fatta di scambi di insulti e minacce tra il presidente Usa e il leader di Pyongyang, Kim Jong-un, la delegazione nord-coreana a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha cercato contatti con importanti esponenti dei think-tank conservatori che hanno avuto a che fare con l’inquilino della Casa Bianca per cercare di capire cosa si nasconda dietro l’atteggiamento machista del presidente Usa. Secondo quanto scrive il Washington Post, la diplomazia nord-coreana ha avvicinato esponenti della Heritage Foundation, il think-tank conservatore vicino a Trump, e del Carnegie Enodwment for International Peace.

Cosa chiede la Corea del Nord ai repubblicani

“La preoccupazione numero uno è Trump. Non riescono a capirlo”, ha dichiarato al quotidiano Usa una fonte a conoscenza dei tentativi di approccio nord-coreani. Non solo: altro obiettivo della Corea del Nord sarebbe quello di intavolare discussioni con esperti Usa considerati vicini al presidente in una località neutrale, come potrebbe essere la Svizzera. Episodi di questo tipo sono già avvenuti in passato e gli scenari per i colloqui sono stati Ginevra, Singapore e Kuala Lumpur. Questo tipo di approccio viene definito “track 1.5” perché da una parte si trovano funzionari di un Paese, la Corea del Nord (binario 1, inteso come canale ufficiale), mentre dall’altro esponenti non politici (binario 2, canale non ufficiale), che informeranno successivamente la politica dell’andamento dei colloqui.

La Twitter diplomacy di Trump

Tra gli interrogativi che vengono sollevati dai funzionari di Pyongyang ci sono quelli relativi ai tweet del presidente Usa, in alcuni casi smentiti o minimizzati dagli uomini della sua squadra, in particolare il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson (da domani a Pechino) e il segretario alla Difesa, James Mattis, che martedì, da New Delhi, aveva sottolineato che “il nostro obiettivo è quello di risolvere la questione con la diplomazia”.

I violenti tweet di Trump hanno, intanto, fatto discutere per i durissimi toni delle esternazioni del presidente Usa affidate ai 140 caratteri. In particolare, sotto osservazione è il tweet di sabato scorso in cui minacciava Trump apertamente Kim Jong-un e il suo ministro degli Esteri, Ri Yong-ho, che “non rimarranno in giro a lungo”. Una minaccia che viola le regole del social network, e che quindi dovrebbe essere rimossa, ma che Twitter ha deciso di non cancellare per “il valore di notizia” del messaggio.

Non solo gli Stati Uniti

Mentre a New York la delegazione nord-coreana cerca di approcciare gli analisti repubblicani, a Mosca si trova il funzionario del regime di Kim Jong-un a capo delle questioni statunitensi, Choe Son-hui, direttore generale del Dipartimento Nord Americano del Ministero degli Esteri di Pyongyang, partita lunedì corso per la capitale russa. Prima di arrivare a Mosca, Choe ha fatto tappa Vladivostok, secondo quanto scrive l’emittente televisiva giapponese Nhk, della cui visita non si conoscono i dettagli. A Mosca, secondo quanto scrive l’agenzia di stampa nord-coreana Korean Central News Agency, Choe aveva in programma un incontro con Oleg Burmistrov, ambasciatore straordinario per la Corea del Nord, che a luglio scorso era stato a Pyongyang dopo il primo lancio di un missile basilico intercontinentale da parte del regime di Kim



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