Dopo l'ultimo, potentissimo, test nucleare condotto il 3 settembre scorso, il regime di Pyongyang continua a tenere il mondo con il fiato sospeso. Nessuno sembra in grado di prevedere le prossime mosse di Kim Jong-un. Seul chiede il supporto di Putin per tagliare gli approvvigionamenti di petrolio alla Corea del Nord. Il presidente cinese Xi Jinping, in un colloquio telefonico con Donald Trump, insiste per la denuclearizzazione della penisola e per la risoluzione “attraverso dialoghi pacifici”. Mentre gli Usa all'Onu chiedono l'embargo del petrolio nei confronti di Pyongyang, la Cina fa sapere che appoggerà ulteriori risposte contro la Corea del Nord da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Giappone e Corea del Sud vogliono più sanzioni contro quella che definiscono una "minaccia mai vista", mentre Putin è convinto che le sanzioni non servano a niente. Trump dice che un'azione militare non è "la prima scelta ma vedremo quello che accadrà”. Nelle stesse ore in Corea del Sud viene completato lo scudo antimissile tra le proteste degli abitanti che hanno provocato diversi feriti. Nel frattempo nella centralissima piazza Kim Il-sung, dove la Corea del Nord tiene le sue parate militari, c’è aria di festa. Una folla di persone con striscioni inneggianti al regime, fiori e coriandoli, accoglie gli scienziati della prima Bomba h fatta esplodere dal regime. Sono le immagini diffuse oggi dai media di stato nordcoreani. Ma Kim Jong-un non è il solo ad essere pazzo.
Sergio Romano, diplomatico, giornalista, editorialista e scrittore, già ambasciatore alla Nato dal 1983 al 1985 e in Unione Sovietica dal 1985 al 1989, autore tra gli altri di “Putin e la ricostruzione della grande Russia” (Longanesi, 2016), in un’intervista all’AGI ha detto di essere più preoccupato dall'imprevedibilità di Donald Trump. L’attuale crisi nordcoreana ci fa entrare “in un terreno in cui non si parla più di politica, ma di atteggiamenti caratteriali”.
Ambasciatore Romano, perché Kim fa il pazzo?
"Kim Jong-un ha uno stile particolare, diverso da quello del padre Kim Jong-il e del nonno Kim Il-sung (il primo al potere fino al 2011, il secondo sino al 1994, ndr). Pur sembrando più avventuroso e avventuriero, in realtà la sua strategia non è molto diversa da quella dei predecessori. Kim è convinto che il Paese e il potere della sua famiglia possano sopravvivere solo se in possesso di un forte deterrente nucleare. Kim sta costruendo la bomba atomica non di certo per usarla: un suo eventuale utilizzo avrebbe sorti drammatiche per Pyongyang. Per il leader nordcoreano l’atomica è uno strumento che serve, come del resto per altri Paesi, ad allontanare il rischio di una spedizione politica punitiva, guidata da Seul. Le crisi attuale è grave ma non è molto diversa dalle tensioni del passato".
La novità qual è?
"La novità non è tanto l’imprevedibilità di Kim, quanto il carattere del nuovo presidente americano".
L’incognita “The Donald”.
"Trump ci ha già spiegato come intende la politica estera e il ruolo degli Usa. Vuole punire tutti coloro che non fanno cose opportune per gli Stati Uniti. Ha dunque un atteggiamento molto più aggressivo dei suoi predecessori. Mi sembra di capire che Trump senta l’obbligo di vivere all’altezza delle sue promesse e delle sue minacce, che in più occasioni non ha mantenuto o ha ritirato, con il risultato di intaccare la sua immagine. Oggi Trump nutre così la forte tentazione di cogliere quelle occasioni che gli permettano di dimostrare la sua energia e la sua forza, come quando ha bombardato le basi siriane lo scorso aprile. Ovviamente ci auguriamo di non assistere ad altre sue manifestazioni di forza".
Trump è più imprevedibile di Kim?
"In un certo senso sì".
Quindi se le chiedo cosa vuole Trump, lei cosa risponde?
"Non è molto chiaro. Mentre capisco la strategia del leader nordcoreano, mi sfugge quella di Trump. Fortunatamente gli Usa hanno un sistema complesso in grado di esercitare un controllo sul presidente. Non mi riferisco solo al Congresso ma anche ai suoi collaboratori in grado di frenarlo. Molti di loro sono militari, i quali sono consapevoli di quali siano i rischi di un’escalation militare più di chiunque altro".
Trump ha accusato di debolezza la Corea del Sud prima di annunciare la vendita di nuove armi agli alleati, che litigano tra di loro.
"Trump dovrebbe già essersi accorto che una politica aggressiva non sarebbe condivisa dagli alleati. Né la Corea del Sud né il Giappone approverebbero una linea di Trump in cui prevalga l’attacco militare".
Anche il rapporto con Xi Jinping non è esattamente un idillio.
"Anche nel caso dei rapporti tra Usa e Cina, abbiamo assistito ad alti e bassi. A partire da una serie di minacce per fortuna non mantenute. Non dimentichiamo che durante la campagna elettorale, Trump ha attaccato duramente la Cina, accusandola di manipolare la moneta e dando l’impressione di volere punire economicamente il Paese. Dopo l’incontro con Xi a Mar-a-Lago, in Florida, nell’aprile scorso, i rapporti tra i due erano migliorati. Nel corso del summit dai toni cordiali, i due leader avevano creato un comitato congiunto per migliorare la posizione commerciale degli Usa nei confronti della Cina. Ma ancora una volta Trump ha dimostrato che, nel bene e nel male, di lui non ci si può fidare perché finisce spesso con il contraddirsi".
Dopo la tregua una nuova battaglia?
"Oggi il dissidio tra Trump e Xi è diventato evidente e sostanziale. Anche nei confronti di Pechino, la principale preoccupazione del presidente americano è di dare di sé stesso l’immagine di uomo energico, duro, e in grado di mantenere le sue promesse".
Qual è invece il principale dilemma di Pechino in questa crisi?
"La Cina non approva la politica nucleare della Corea del Nord. C’è da dire che i Paesi in possesso di una bomba nucleare hanno la prerogativa di volere essere i soli ad averla. La proliferazione è un processo inarrestabile, per quanto si cerchi di limitarla. Pechino preferirebbe che Pyongyang non avesse l’atomica, sebbene resti da capire se il regime nordcoreano abbia effettivamente sviluppato la potentissima arma. La principale preoccupazione di Pechino è di evitare il collasso del regime nordcoreano perché esso avrebbe conseguenze molto simili allo sconfinamento della guerra civile siriana in Turchia: milioni di persone che attraversano il confine alla ricerca di un luogo dove sopravvivere. In secondo luogo, una crisi non controllata, se esplode, ha conseguenze belliche drammatiche, e difficili da prevedere. Una cosa è però certa: una crisi di quel genere significherebbe una guerra nella penisola coreana con il risultato di portare presumibilmente a una vittoria di Seul con l’aiuto americano, e dunque a una nuova frontiera Usa".
Pechino sembra avere perso il controllo sull’alleato capriccioso.
"La Cina è in grande disagio politico. Non è chiaramente in grado di imporsi su Pyongyang. Ma non vuole neppure immaginare un conflitto che si risolverebbe a danno della Cina. Il problema è che in questo momento possiamo solo fare supposizioni. Si può immaginare che i rapporti diplomatici tra Pechino e Pyongyang siano molto meno distesi del passato e che ci sia una certa rivalità. Kim si comporta così perché vuole mettere la Cina con le spalle al muro? Oppure perché al suo interno controlla meglio il Paese se crea un clima di crisi? Sono domande destinate a restare senza risposta. La verità è che entriamo in un terreno in cui non si parla più di politica, ma di atteggiamenti caratteriali".
Putin dice che le sanzioni sono “inutili ed inefficaci” e (ovviamente) si allinea con la Cina. Il presidente russo sembra il più saggio di tutti.
"I russi sono tradizionalmente molto più prudenti di quanto si creda. La reazione di Putin può sorprendere solo chi nel corso degli ultimi tempi ha costruito attorno al leader russo un personaggio diabolico, attribuendogli strategie particolarmente velenose. Personalmente ho sempre avuto l’impressione che i russi, sia in epoca sovietica ma soprattutto sotto il governo Putin, siano sempre stati straordinariamente attenti prima di creare situazioni inconciliabili. Come ho sottolineato nel mio ultimo libro, la crisi ucraina ha colto Putin di sorpresa rispetto a sviluppi che non aveva previsto. La sua tendenza andava verso un’altra direzione, ovvero alla ricerca di un accordo soddisfacente per tutti. E invece si è trovato con le spalle al muro".