Roma - La decisione degli elettori britannici è un colpo durissimo, ma non è la fine dell'Unione. Deve essere semmai l'inizio di una nuova fase, di un futuro da costruire facendo tesoro dell'esperienza passata e ricalibrando le politiche comunitarie verso temi piu' sociali, che aumentino il senso di coesione ed abbattano le tentazioni di ritorni antistorici al passato. Sergio Mattarella segue la situazione in ebollizione, ufficialmente tace ma fa parlare i fatti, ad iniziare dalla sua presenza al vertice con i capi di Stato di Lubiana. Una testimonianza del fatto che l'Italia conferma la sua volontà di proseguire sul percorso europeo, un percorso che prevede condivisione e che è iniziato sulle macerie di una guerra per costruire un'aria di pace e sviluppo. Una comunità di Stati e di popoli. Quasi impressionante, la coincidenza: anche la Slovenia, che oggi festeggia i 25 anni di indipendenza, scelse l'appartenenza all'Ue dopo aver sofferto una pur breve guerra scatenata da chi si opponeva alla sua indipendenza. Era il 1991, e il conflitto durò dieci giorni che segnarono le successive scelte strategiche dello stato ex jugoslavo. Prima tra tutte, per l'appunto, l'opzione europeista. Nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica aveva affidato le sue riflessioni in proposito a un intervento pubblico, in occasione della sua visita ufficiale in Romania: paese balcanico, esposto alle correnti migratorie, che guarda preoccupato alla crescente pressione della vicinanza russa. Mattarella è particolarmente sensibile alle tematiche dell'area: dall'inizio del suo mandato ha visitato quasi tutti i paesi della regione (in altri sarà a partire da settembre), scorgendovi non il luogo di origine dei problemi, ma delle possibili soluzioni.
Una lunga riflessione, quella del Capo dello Stato, che parte da un assunto: il processo di integrazione continentale "nasce per abbattere distanze, rendere più vicine le persone, garantendo a ogni europeo, ovunque egli risieda, di condurre la propria vita con diritti, doveri e tutele avanzati, comuni e difesi - insieme - al di fuori dei propri confini nazionali e di quelli dell'Unione Europea". Una "volontà di rimuovere le barriere tra persone" e Stati, o addirittura culture e mentalità, che si è andata sempre più scontrando negli ultimi anni con difficoltà crescenti. Crescenti e in parte inspiegabili: "Da una parte, infatti, abbiamo raggiunto, nella nostra Unione, punte altissime di integrazione. Dall'altra si moltiplicano i segnali di disagio e incomprensione rispetto al suo funzionamento da parte di cittadini che stentano a ricordare quanti e quali siano, per loro, i reali benefici dell'unità europea, benefici già acquisiti, e qui talvolta poco avvertiti, ma sempre a rischio senza il progressivo e completo consolidamento dell'Unione". Ecco, è anche questo il punto: ci sono situazioni in cui il successo del progetto europeo è messo a repentaglio dalla mancanza di memoria, dall'incapacità di mettere a confronto il punto di partenza con le mete finora raggiunte. Manda, si direbbe, una sorta di memoria condivisa per cui oggi "non possiamo limitarci a spiegare alle nuove generazioni quanto fosse innaturale la divisione dell'Europa, quanto dolorosi siano stati secoli di contrapposizioni, i due conflitti mondiali e come il percorso di progressiva integrazione continentale abbia consentito a questa nostra Europa di vivere in pace e crescente benessere il periodo piu' lungo della sua storia". Una storia di successo, ma la rievocazione non basta, perchè "l'integrazione che abbiamo raggiunto ha bisogno, per tornare nel cuore degli europei, di istituzioni politiche comuni e identificabili dai cittadini". Ed oggi "siamo di fronte a un bivio. Possiamo fuggire dalla realtà, girare la testa indietro verso un antistorico tentativo di recupero, da parte degli Stati, di sovranità, in realtà soltanto apparente, rinunciando, in tal modo, alle tante conquiste di questi anni".
Sull'altro piatto della bilancia Mattarella mette uno "sguardo rivolto verso il futuro, verso il naturale completamento della nostra Unione, che passa attraverso Istituzioni comuni, con il rafforzamento di quelle esistenti e la creazione di nuove, cosi' da poter di dare ai nostri cittadini le risposte che meritano in questo periodo". Questo è il punto: trasformare il momento della difficoltà nell'opportunità di rilancio, per quel "cantiere permanente" che è il Continente, teatro del piu' grande esperimento politico dalla nascita degli Stati Uniti d'America. Rilanciare il progetto, ripensando in parte la sua filosofia: il distacco tra istituzioni e cittadini nasce da fattori ben precisi, e tutti sanno adesso "cosa sia necessario fare, specialmente in campo economico". Mattarella enumera e snocciola i punti di un vero e proprio programma di ricostruzione: "completare l'Unione bancaria, con un meccanismo comune di tutela e sviluppare un sistema di assicurazione contro la disoccupazione, proseguire con decisione sul piano della realizzazione di infrastrutture di respiro continentale, costituiscono, ad esempio, proposte che vanno in questa direzione, che aumentano le salvaguardie per i singoli, che rafforzano la rete sociale, che consolidano l'idea di un'Europa che non lascia soli i propri cittadini e che, anzi, li chiama sempre piu' a partecipare alle scelte". Non lo dice espressamente, il Capo dello Stato, ma il particolare colpisce: si tratta di punti legati ad una dimensione sociale dell'Europa che finora non è stata realizzata. La notte di Maastricht, nel 1992, lanciò l'idea di un'Unione basata su tre pilastri: economico-finanziario (realizzato con l'euro); di politica estera comune (realizzato sono in piccola parte); di politica sociale comune. Quella notte di 24 anni fa il Regno Unito esercito, a riguardo, senza nemmeno aspettare 24 ore, la clausola dell'opting out, vale a dire l'opzione per chiamarsi fuori. Era concesso, ma fu anche l'inizio di un percorso che oggi porta alla Brexit. Ma, allo stesso tempo, ad un profondo ripensamento delle ragioni dello stare insieme. E non è detto che tutto è perduto. Per nulla. (AGI)