Pechino, 21 apr. - L'unità dei paesi BRIC perde qualche mattone, almeno sul fronte della rivalutazione dello yuan: alla vigilia del summit del G20, previsto per giovedì a Washington, le Banche centrali di Brasile e India si schierano al fianco degli Stati Uniti, che da mesi esercitano pressioni sulla Cina per ottenere un apprezzamento della sua moneta. "Le esportazioni dalla Cina verso l'India sono cresciute a una velocità più elevata rispetto a quelle in senso inverso- ha dichiarato ieri il governatore di Reserve Bank of India Duvvuri Subbarao - e ciò riflette chiaramente delle differenze nella gestione dei tassi di cambio. Se la Cina rivaluterà lo yuan, la misura avrà un impatto positivo sulle nostre esportazioni. Se alcuni paesi riescono mantenere il tasso di cambio della loro valuta artificialmente basso, il peso ricade su quelle nazioni che non riescono a fare altrettanto". "Quando si discuterà di questo argomento, non mancheremo di fornire le nostre opinioni in materia" ha aggiunto Subarrao. Una posizione del tutto concorde con quella di Henrique Meirelles: "Per assicurare un equilibrio nell'economia globale è assolutamente vitale che la Cina proceda ad una rivalutazione dello yuan" ha detto ieri il governatore della Banca centrale brasiliana nel corso di un'interrogazione al Senato. Nel corso del summit BRIC della scorsa settimana è emerso che Pechino, Brasilia, Mosca e Nuova Delhi stanno facendo fronte comune per ottenere una riforma dell'assetto attuale di istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale: "FMI e World Bank soffrono di un deficit di legittimità- si legge nel comunicato congiunto firmato dai leader delle quattro nazioni - e la riforma delle strutture di governance di queste istituzioni richiede per prima cosa uno spostamento del potere di voto a favore delle economie emergenti e di quelle in via di sviluppo, per riflettere una partecipazione ai processi decisionali in linea con il loro peso effettivo nell'economia mondiale". Russia e Cina, inoltre, sostengono la candidatura di Brasile e India per un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Ma se i quattro paesi- che da soli costituiscono il 40% della popolazione mondiale- mantengono un forte retroterra comune in contrapposizione alle economie mature, tra le nazioni del gruppo BRIC covano anche numerose tensioni di tipo commerciale. Nei sei mesi fino al settembre 2009 l'India ha acquistato dalla Cina beni per 14.9 miliardi di dollari, più del doppio rispetto agli acquisti dagli USA, che si piazzano al secondo posto nella classifica delle importazioni di Nuova Delhi; l'Elefante indiano, nello stesso periodo, ha esportato verso la Cina beni per 3.9 miliardi di dollari. Tra le elites indiane cresce il timore che l'enorme massa di materie prime cedute al Dragone rientri poi sotto forma di prodotti finiti che penalizzano le aziende nazionali proprio a causa di uno yuan troppo debole. Nei primi 8 mesi dell'anno scorso,inoltre, Pechino ha aumentato sensibilmente le esportazioni verso paesi come Argentina, Uruguay e Paraguay (+7.3%), tutti paesi che fanno parte del blocco commerciale Mercosur a guida prevalentemente brasiliana, mentre nello stesso periodo i beni venduti dai carioca alle nazioni vicine sono scesi del 18%. Lo yuan, che è una valuta non convertibile, è tornato di fatto all'ancoraggio col dollaro nel luglio 2008, dopo un periodo di tre anni nel quale era stato lasciato fluttuare all'interno di parametri rigorosi ma più ampi; da tempo Washington, che ritiene la moneta sottostimata, e pertanto capace di garantire un vantaggio sleale al commercio estero del Dragone, sta cercando di convincere Pechino della necessità di una rivalutazione al fine di riequilibrare la bilancia commerciale cinese con il resto del mondo; USA in primis, ovviamente. Gli Stati Uniti hanno guadagnato due alleati? La Cina ha dichiarato più volte che non cederà alle pressioni esterne e procederà a un apprezzamento solo in presenza di condizioni interne favorevoli; il forum di giovedì potrebbe essere la prima occasione per esercitare spinte multilaterali, ma secondo molti analisti Pechino potrebbe resistere fino alla seconda metà dell'anno.