Yuan ancora in calo, la crisi spaventa Pechino
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Yuan ancora in calo, la crisi spaventa Pechino

Yuan ancora in calo, la crisi spaventa Pechino

Cina. Sesta seduta negativa per il renminbi che tocca il minimo di 6,36 con il dollaro
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Il malessere serpeggiante sui mercati finanziari internazionali finisce per contagiare anche lo yuan.
Da giorni ormai, la valuta cinese, che benché inconvertibile è considerata una sorta di porto sicuro nel mare in tempesta della finanza globale, continua a perdere terreno sul mercato dei cambi. Con la flessione di ieri (durante le contrattazioni ha raggiunto un minimo a 6,3659 contro dollaro, per poi riprendere fiato nel finale), lo yuan ha inanellato sei sedute negative consecutive. Un piccolo record per una moneta abituata ormai da tempo a rivalutarsi giorno dopo giorno, sebbene a piccoli passi, all'interno della banda di oscillazione fissata quotidianamente dalla People's Bank of China.
La recente stringa ribassista non intacca la performance rialzista di lungo termine della moneta cinese, che nei confronti del dollaro ha guadagnato il 3,5% dall'inizio del 2011 e il 7,3% dal giugno 2010 quando il renminbi abbandonò l'ancoraggio con la moneta americana. Ma pone qualche interrogativo sulle aspettative della comunità finanziaria internazionale sulle prospettive dell'economia cinese. Nonostante lo stretto monitoraggio operato dalle autorità monetarie di Pechino, infatti, anche oltre la Grande Muraglia una moneta che perde valore significa sostanzialmente una cosa: sul mercato c'è più gente che la vende che la compra.
Ed è esattamente quanto sta accadendo nelle ultime settimane. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca centrale cinese, per la prima volta negli ultimi quattro anni, a ottobre i flussi di yuan sul mercato dei cambi sono diminuiti. In sostanza, gli operatori hanno venduto più renminbi di quanti ne abbiano acquistati. E a novembre, dicono indiscrezioni di mercato, il trend non è cambiato.
Ciò significa che quella immensa quantità di denaro che negli ultimi due anni si era riversato sulla Cina, scommettendo sulla rivalutazione dello yuan spesso sotto forma di investimenti immobiliari, potrebbe aver iniziato a fuoriuscire lentamente dal Paese. D'altronde, anche la corazzata cinese non sembra più inaffondabile come fino a qualche mese fa. I segnali di preoccupazione sono molteplici. Il primo. Nel terzo trimestre 2011, la crescita del Pil è scesa al 9,1%, contro il 9,7 e il 9,5% rispettivamente del primo e del secondo trimestre dell'anno (a questo riguardo, bisogna considerare che, come ammette lo stesso Governo cinese, un tasso di espansione inferiore all'8% potrebbe mettere in crisi l'equilibrio macroeconomico della superpotenza asiatica). E a giudicare dall'indice Pmi elaborato dalla China Federation of Logistic and Purchasing, a novembre sceso a quota 49 contro 50,4 del mese precedente, il futuro non promette bene.
Il secondo. Il mercato immobiliare, da anni surriscaldato anche per effetto dei colossali flussi di hot money provenienti da tutto il mondo, si è finalmente fermato. E ora la tanto temuta bolla speculativa rischia di scoppiare mettendo in seria difficoltà le banche e il sistema finanziario nazionale. Il terzo. La crisi debitoria europea e la debolezza della domanda americana hanno già iniziato a farsi sentire sulle esportazioni del made in China.
Fluttuazione fisiologica o inversione di tendenza? Il mercato in queste ore se lo chiede, assistendo con inquietudine al ripiegamento dello yuan.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

08/12/2011
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