Vacilla il pilastro di sostegno delle economie occidentali
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Vacilla il pilastro di sostegno delle economie occidentali

Vacilla il pilastro di sostegno delle economie occidentali

INTERVENTO
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Fino a pochi giorni fa la Cina rappresentava la speranza del mondo occidentale in crisi; con un'economia che è cresciuta in termini reali di oltre 17 volte in trent'anni e gli oltre 3mila miliardi di dollari di riserve, molti leader occidentali in difficoltà nutrivano concrete speranze sul gigante asiatico. Da questa settimana, in molti hanno iniziato a guardare all'ex impero di mezzo con occhi diversi.
In questi giorni, l'indice Pmi cinese è, infatti, sceso sotto 50: i rappresentanti del sistema industriale guardano al futuro assumendo una prospettiva di contrazione. La crescita economica ha rallentato per la terza volta consecutiva in tre trimestri - passando dal +9,5% del Pil a +9,4% fino ad arrivare al valore attuale intorno al 9,1 per cento. Il surplus commerciale e le esportazioni sono diminuiti a causa della crisi economica dell'Europa, principale area di destinazione dei prodotti cinesi.
Sono tutti segnali che inducono a ritenere certo un rallentamento dell'economia cinese. A voler ben guardare, non è però sulla crescita dell'economia che dobbiamo puntare l'attenzione per trarre indicazioni utili sul futuro di Pechino; in fondo, grazie alle enormi riserve monetarie, sono ancora ampi i gradi di libertà a disposizione del Governo cinese per intervenire a sostegno della propria economia e per mantenere un livello di crescita del Pil dell'8%, valore ritenuto come soglia minima per sostenere l'occupazione dei circa 15 milioni di cinesi che dalle campagne ogni anno migrano verso le città per trovare lavoro. Ben più problematici sono invece altri aspetti, che rischiano di minare il futuro del Paese.
L'enorme liquidità in circolazione - pari a circa 10.500 miliardi di dollari: un valore quasi doppio rispetto al Pil e comunque superiore alla massa monetaria in circolazione negli Stati Uniti - ha alimentato una bolla immobiliare e delle commodity, che rischiano di esplodere e hanno contribuito a far crescere l'inflazione a livelli preoccupanti: quest'anno si è infatti registrato un picco del 6,5% contro un target del piano quinquennale del 4 per cento. L'economia cinese appare inoltre "obesa": eccessivo è, infatti, ancora oggi il peso che la componente degli investimenti infrastrutturali riveste rispetto al Pil (circa il 50%), mentre appare di converso troppo debole la componente dei consumi domestici (35% del Pil). Ancora troppo rilevante è infine il peso che le aziende di Stato hanno nel sistema industriale cinese: oltre il 70% dei profitti deriva, infatti, da aziende pubbliche o assimilabili e ancora troppi sono i privilegi che queste ricevono sul fronte dei finanziamenti a discapito delle imprese private.
In questa prospettiva, il problema della Cina non è tanto di crescita quanto piuttosto di individuare un percorso sostenibile ed equilibrato di sviluppo. La mossa varata in questi giorni dalle autorità finanziarie di Pechino per ridurre la riserva obbligatoria delle banche dello 0,5% - una misura che, da sola, metterà in circolo circa 65 miliardi di dollari - va nella direzione sbagliata. L'introduzione di ulteriori misure di quantitative easing e di pacchetti di stimolo sortirebbe l'effetto di far aumentare inflazione e prezzi immobiliari: andrebbero, quindi, nella direzione esattamente opposta rispetto a quanto necessario.
Servirebbe invece un'operazione volta a favorire l'ulteriore rivalutazione del renminbi così da sostenere la domanda interna con l'aumento del potere di acquisto dei consumatori. Sarebbe utile il varo di politiche volte a rafforzare il sistema pensionistico e quello di assistenza sanitaria così da conferire alla popolazione, la cui età media è alta, una maggiore tranquillità rispetto al futuro e favorire una maggiore propensione alla spesa. Appare, infine, cruciale la riforma del sistema finanziario: gli istituti di credito devono diventare più efficienti nell'allocazione del loro capitale: meno capitali alle imprese di Stato e più alle imprese private; minore propensione a una logica di sviluppo tout court e maggiore selettività nell'allocazione delle risorse devono diventare i nuovi principi guida delle banche cinesi.
Insomma, la Cina si potrebbe ammalare di troppa crescita; paradossale dirlo ma quello che ora serve al Dragone è meno moneta in circolazione, meno inflazione e più attenzione all'equilibrio sociale.
Twitter@giuliano_noci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prorettore del Polo territoriale cinese, Politecnico di Milano
di Giuliano Noci

08/12/2011
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