di Eugenio Buzzetti
Aggiornato il 15 novembre - Il presidente Donald Trump ha rivendicato "l'incredibile successo" del suo tour di 12 in Asia che lo ha portato, nell'ordine, in Giappone, nella Corea del Sud, in Cina, in Vietnam e nelle Filippine. Durante un intervento dalla Casa Bianca, il presidente ha indicato i tre obiettivi principali del viaggio: "unire il mondo contro la minaccia posta del regime della Corea del Nord", "rafforzare le alleanze dell'America e le sue partnership economiche nell'Indo-Pacifico", sollecitare tutti i Paese a scambi commerciali improntati all'equità e alla reciprocità. "Queste due parole, equità e reciprocità, sono un invito rivolto ad ogni Paese interessato a fare affari con gli Stati Uniti e sono un forte avvertimento rivolto a coloro che imbrogliano, che infrangono le regole e che sono impegnati in attacchi economici come in passato, specialmente nel recente passato".
Pechino, 14 nov. - Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rivendica come uno "straordinario successo" la lunga visita in cinque Paesi asiatici che si è chiusa oggi, con la ripartenza per gli Stati Uniti dall'aeroporto di Manila. Trump ha deciso di lasciare le Filippine senza partecipare all'East Asia Summit, come aveva deciso, invece, di fare, alla partenza per il suo tour asiatico, il 3 novembre scorso, dopo giorni di incertezza a riguardo. Al suo posto, gli Usa saranno rappresentanti dal segretario di Stato, Rex Tillerson. Poco prima di lasciare Manila, Trump, in un incontro con la stampa, ha parlato di un "enorme lavoro" fatto sul commercio con i leader dei Paesi asiatici, e i frutti di questo lavoro, ha detto, "saranno incredibili".
Trump ha incontrato i leader di Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine, dal 5 novembre scorso, quando è atterrato a Tokyo, e ha partecipato ai summit dei Paesi Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) e Asean, l'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. La lunga missione è stata dominata dalla minaccia missilistica e nucleare nord-coreana, particolarmente presente nei suoi discorsi e negli incontri avuti nei tre Paesi dell'Asia orientale, e dai rapporti commerciali con i Paesi asiatici, su cui già ieri, aveva dichiarato che erano stati fatti "grossi passi avanti". Per domani, con il ritorno a Washington, è attesa una "importante dichiarazione", come l'ha definita lui stesso sui risultati ottenuti nella missione asiatica.
Trump ha alternato toni molto duri sulla Corea del Nord a lievi aperture. "L'era della pazienza strategica degli Stati Uniti sulla Corea del Nord è finita", aveva dichiarato a Tokyo, e assieme ad Abe si era detto d'accordo ad applicare "massima pressione" a Pyongyang per convincere il regime di Kim Jong-un ad abbandonare le armi nucleari. Toni forti anche quelli usati a Seul, dove, al termine dell'incontro con il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, ha ribadito che la Corea del Nord è "una minaccia per il mondo" e che gli Usa sono pronti a difendere i loro alleati nella regione: Trump ha precisato anche che Washington "non ambisce a usare la forza" per rivolere la crisi e, con toni duri ma aperti al dialogo, ha invitato Kim Jong-un a "sedersi a un tavolo e fare un accordo". I toni sul regime di Pyongyang si sono fortemente affievoliti con la terza tappa del suo viaggio, la Cina, costellata di accordi multimiliardari tra Pechino e Washington. A Pechino, Trump si è detto d'accordo con il presidente cinese, Xi Jinping, per la ricerca di una soluzione comune alla crisi, ma la soluzione, aveva dichiarato lo stesso Xi al termine dell'incontro, non potrà che passare dalla denuclearizzazione della penisola coreana attraverso il dialogo con Pyongyang, un segnale che la ricomposizione pacifica della crisi non è un punto negoziabile per Pechino.
La crisi nord-coreana si è ripresentata anche al vertice Apec, con un botta e risposta a distanza tra Trump e il regime di Kim Jong-un, alla prima risposta pubblica alle parole di Trump dall'inizio della missione asiatica. Un comunicato diramato da un portavoce del Ministero degli Esteri di Pyongyang ha fatto il punto sulla visione nord-coreana delle minacce e degli avvertimenti lanciati dal presidente Usa: Trump è un "guerrafondaio" e un "rimbambito" che vuole "mungere" i suoi amici asiatici per convincerli a comprare armi da Washington. Il presidente Usa "implora la guerra nucleare", ma non riuscirà a convincere Pyongyang a rinunciare ai suoi programmi missilistico e nucleare.
A parte un richiamo alla crisi nord-coreana, il discorso all'Apec, uno dei momenti più attesi del tour asiatico di Trump, è stato dominato dalle questioni commerciali. Nel discorso, Trump ha citato la visione Usa dell'Asia, che oggi Washington definisce "indo-pacifico", definizione già circolante in alcuni ambienti e che muoverà, con ogni probabilità la linea che gli Usa sceglieranno di usare nel continente. Nel discorso, però, Trump si è affermato sui temi dl commercio: gli Stati Uniti, ha detto, sono disponibili a fare "accordi bilaterali con ogni Paese dell'indo-pacifico che vuole essere nostro partner, e che si atterrà ai principi del commercio reciproco e su basi paritarie", ma, ha avvertito, "non tollereremo più cronici abusi sul commercio". Rinegoziare gli accordi commerciali esistenti con i principali partner della regione è stato uno dei fili conduttori delle visite di Trump. Il mantra delle prime due tappe (Giappone e Corea del Sud) è stato proprio il collegamento delle questioni commerciali alla minaccia nord-coreana: "creare posti di lavoro negli Usa e maggiori sicurezza per voi", ha detto Trump a Tokyo e a Seul.
Ancora una volta, a Pechino, i toni si sono abbassati. Il disavanzo commerciale nei confronti della Cina (347 miliardi di dollari a fine 2016) è "scandaloso" ha dichiarato Trump, ma, alla presenza di Xi, che lo ha accolto con tutti gli onori nella capitale cinese, ha sottolineato che non intende "incolpare la Cina" per la situazione attuale, ma le passate amministrazioni Usa che, a suo dire, lo hanno reso possibile e hanno permesso che andasse "fuori controllo". proprio a Pechino, Trump ha portato a casa i risultati più eclatanti sul piano numerico: accordi per 253,4 miliardi di dollari tra Usa e Cina, anche se in molti casi sono emersi dubbi sulla natura degli accordi, spesso non vincolanti, e sui numeri reali delle commesse, poco chiari anche per gli osservatori generalmente più attenti.
Come Trump intenda procedere sul commercio verrà reso noto solo domani dalla Casa Bianca, ma nel suo viaggio asiatico, Trump ha difeso anche l'uscita degli Usa dal Tpp, la Trans-Pacific Partnership, decisa proprio nei primi giorni del suo mandato, a gennaio scorso. "Non era la risposta giusta", ha detto alla comunità d'affari giapponese e statunitense riunita all'Ambasciata Usa a Tokyo: non così sembrano pensarla gli altri undici Paesi dell'alleanza commerciale del Pacifico, che proprio a margine del summit Apec in Vietnam, tra molte difficoltà e ostacoli dell'ultimo minuto, hanno deciso per un accordo di massima sugli elementi chiave per procedere nell'alleanza orfana di Washington.
L'impegno Usa nella regione, almeno a parole, è stato confermato da parte di Trump anche sul versante del Mare Cinese Meridionale: il presidente Usa, in conferenza stampa con il presidente vietnamita, Tran Dai Quang, si è dichiarato disponibile a fare da mediatore nelle dispute di sovranità nella regione. Una proposta che forse vuole rimarcare l'impegno degli Usa come potenza di quell'indo-pacifico a cui Trump ha dedicato tanti riferimenti nei suoi interventi pubblici, ma che sicuramente non piace a Pechino. La visione di Trump "non prende di mira la Cina", ha dichiarato un funzionario del Ministero degli Esteri di Pechino a margine del vertice Apec, ma i pilastri della nuova proposta Usa (India, Giappone e Australia) suonano alle orecchie di Pechino come una nuova riproposizione del tentativo di contenere l'influenza della Cina in Asia. Mentre l'America di Trump sembra volere rimettere in discussione le partnership con gli alleati locali, Xi, ha parlato della globalizzazione come di "un processo irreversibile", e della necessità di non chiudersi in un "auto-isolamento" che "ci lascia indietro". E, nonostante l'atteggiamento assertivo della Cina nel Mare Cinese Meridionale, chi ha ascoltato entrambi i discorsi, pronunciati a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro, ha contato più applausi per le parole di Xi che per quelle di Trump.
14 NOVEMBRE 2017
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