TRA GOOGLE E CINA NON E' ACCORDO
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TRA GOOGLE E CINA NON E' ACCORDO

TRA GOOGLE E CINA NON E' ACCORDO

Internet - MICHAEL ANTI
TRA GOOGLE E CINA NON E' ACCORDO
di lettura
Pechino, 29 lug.: E quindi, dopo mesi di conflitto, è finalmente scoppiata la pace tra Google e il governo di Pechino? Michael Anti, alias Zhao Jing, non la pensa così,e si tratta di qualcuno che con l'argomento ha una certa dimestichezza: giornalista, blogger politico molto conosciuto per i suoi post sulla libertà di stampa in Cina, divenne ancora più famoso nel 2005 quando Microsoft decise di cancellare il suo blog su pressione del governo. "Il fatto che all'inizio di luglio il governo abbia rinnovato la licenza di ICP di Google non significa molto – dice Anti ad AgiChina24- perché, a ben vedere , quello che è stato rinnovato è la concessione di distribuire contenuti quali musica, shopping e pubblicità. Si è trattato solo di una questione amministrativa, insomma, che non ha nulla a che vedere con il problema della censura". La vicenda era iniziata a gennaio, quando Google accusò Pechino di essere responsabile di una serie di attacchi hacker che avevano violato i segreti aziendali di una trentina di società americane e le caselle mail di alcuni attivisti politici, e minacciò di abbandonare la Cina e rifiutarsi di sottostare ulteriormente all'autocensura che il governo impone a tutte le società internet straniere che scelgono di operare sul territorio cinese. In un crescendo di dichiarazioni, la questione diventa un caso di politica internazionale: il 21 gennaio il Segretario di Stato Hillary Clinton dichiara che "una nuova cortina dell'informazione" sta "calando su larga parte del mondo", e nomina esplicitamente la Cina; Pechino, da parte sua, accusa esplicitamente Washington di fomentare rivolte e insurrezioni via web attraverso una brigata di hacker. A fine marzo Google decide di reindirizzare gli utenti della versione cinese su Google,com.hk, sbloccando di fatto i contenuti sgraditi al governo di Pechino. Una mossa che ha fatto guadagnare alla casa di Mountain View il plauso degli attivisti internazionali, ma si è rivelata di scarsa efficacia pratica: la censura che Google si è rifiutata di esercitare è stata infatti prontamente reintrodotta dai filtri governativi, soprannominati "La Grande Muraglia di Fuoco", rendendo comunque inaccessibili le pagine incriminate al navigatore cinese. Poi, il 9 luglio, quella che sembra una schiarita; con un laconico comunicato sul suo sito, Google China annuncia il rinnovo della licenza ICP da parte del governo: "Siamo molto contenti –si legge nel post- e intendiamo continuare a fornire ricerca web e prodotti locali ai nostri utenti in Cina". Su Google.cn, oggi, non si viene automaticamente indirizzati a Google.com.hk, ma nella parte bassa dello schermo campeggia comunque un link alla versione di Hong Kong, liberamente cliccabile dal navigatore. "Non penso che si sia giunti a nessun accordo vero e proprio- prosegue Michael Anti- perché la questione della censura rimane in piedi. Tutto questo conflitto ha rappresentato lo scontro tra due modelli di informazione. Da un lato c'è Google, che ambisce con tutti i suoi servizi a consacrarsi definitivamente come il vero impero informativo del secolo. Dall'altra c'è il governo cinese, che vuole rivendicare la sua sovranità sul tipo di informazioni alle quali puoi avere accesso, solamente perché sei cinese. Ora, mi rendo conto che per uno straniero, avere un colosso come Google che esercita questo immenso potere non sia un pensiero rassicurante. Ma io, anche se non mi sento a mio agio con quest'idea, preferisco la prima alternativa alla seconda". La Cina, con 420 milioni di navigatori, è ormai il primo mercato web al mondo, e diventerà ancora più vasto dopo la recente notizia del via libera alla registrazione di domini in caratteri cinesi: secondo Michael Anti è difficile che altre aziende seguano l'esempio di Google, scegliendo consapevolmente di ridimensionare la propria presenza sulla rete più popolata del pianeta. Ma dal punto di vista  del blogger anche lo scenario secondo il quale in futuro si profileranno due web distinti –uno per la Cina, l'altro per il resto del mondo- è poco plausibile: "Una situazione del genere arrecherebbe dei danni all'economia. E questo è proprio il genere di effetto che il governo vuole evitare".
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