Pechino, 21 giu.- Alle stelle i prezzi delle terre rare: questa la conseguenza della stretta al settore voluta da Pechino che mira a consolidare il mercato di questi minerali. In particolare, fa sapere Zhang Fang, analista della China Securities Co Ltd, i prezzi delle terre rare pesanti – più costose di quelle leggere perché più difficili da reperire – sono aumentati cinque volte dall'inizio dell'anno, mentre le leggere hanno registrato solo 2 impennate. Secondo il sito web dello Shanghai Metals Market, lunedì l'ossido di europio, utile per la produzione di televisori e lampade fluorescenti, costava tra i 26mila e i 28mila yuan (2.600 – 2.800 euro circa) al chilo, 7.700 yuan in più rispetto allo scorso mese.
"Il prezzo è salito principalmente a causa delle politiche adottate da Pechino" dichiara Zhang. "Sia la domanda estera che quella interna sono abbastanza forti" ha poi continuato aggiungendo che la stessa speculazione potrebbe aver fatto la sua parte nell'impennata dei prezzi. A aver messo gli occhi sulle terre rare sono la maggior parte dei Paesi industrializzati: i 17 minerali sono infatti fondamentali per la fabbricazione di prodotti hi-tech, dalle pale eoliche agli schermi per computer, dalle automobili ibride ad altre apparecchiature per lo sfruttamento delle energie rinnovabili. E la Cina, che custodisce nel proprio sottosuolo il 60% delle riserve mondiali, sembra detenere anche il 90% della produzione globale a causa degli elevati oneri ambientali necessari per l'estrazione, che non tutte le nazioni sono disposte ad assumersi. Condizioni, queste, che fanno di Pechino il detentore di una sorta di monopolio, 'titolo' cui non sembra voglia rinunciare e che difende con una serie di misure di supporto.
Nell'estate dell'anno scorso la Cina annunciò che avrebbe ridotto le quote di terre rare destinate all'export: l'estrazione di queste risorse comporterebbe costi ambientali eccessivamente elevati in quanto l'estrazione e la lavorazione dei minerali terre rare producono una grande quantità di sottoprodotti tossici che andrebbero ad aggravare il delicato problema inquinamento. Sempre allo stesso scopo, mesi fa il governo cinese fece sapere che avrebbe attuato un ulteriore taglio di circa il 35% delle esportazioni per i primi sei mesi del 2011, mentre a metà febbraio il Consiglio di Stato varò nuovi regolamenti, più severi, sempre in nome dell'eccessivo impatto ambientale derivato dall'estrazione. Poi ad aprile, Pechino ha reso note le cifre della produzione di terre rare per il 2011. Secondo quanto comunicato del ministero della Terra e delle Risorse, la Cina ha fissato il tetto massimo a 93.800 tonnellate, il 5% in più rispetto allo scorso anno, rimandando però l'approvazione di licenze per la produzione di tungsteno e antimonio a non prima del 30 giugno 2012. Disposizioni anche sull'estrazione: potranno essere estratte fino a 80.400 tonnellate di terre rare "leggere", mentre il limite per quelle "pesanti" sarà di 13.400 tonnellate.
In molti, però, vedono nella mossa del Dragone una manovra per favorire quel processo di passaggio dal manifatturiero comune all'industria hi tech che rientra da tempo nei piani del governo, oltre che uno strumento per esercitare pressioni diplomatiche all'estero.
di Sonia Montrella
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