Stretta di Pechino contro i dissidenti
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Stretta di Pechino contro i dissidenti

Stretta di Pechino contro i dissidenti

Cina. Timori di contagio dalle rivolte arabe
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Codardo, venduto, traditore. La stampa americana condanna senza pietà l'autocensura operata da Bob Dylan nel suo recente concerto in Cina. Pur di esibirsi il cantautore americano ha accettato le condizioni della nomenklatura cinese e ha "rimosso" dal suo repertorio alcune canzoni di protesta che negli '70 diventarono gli inni dei movimenti giovanili e studenteschi del mondo occidentale.
Ma la decisione di non suonare sul palcoscenico di Pechino le note storiche di Blowin' in the Wind, di The times they are a-changin', di Hurricane, non deve sorprendere. In fondo, obliterando le ballate sgradite alle orecchie del regime rosso, Dylan non ha fatto altro che adeguarsi alla regola aurea seguita da qualsiasi straniero che voglia fare business in Cina o con la Cina: turarsi il naso e scendere a compromessi.
La ragione della totale acquiescenza del mondo occidentale sui diritti umani nei confronti del Governo cinese è racchiusa nelle parole di un imprenditore straniero: «Oggi senza la Cina l'economia mondiale sarebbe completamente paralizzata - dice -. Anche la Germania, se non vendesse quello che vende in Cina, sarebbe in grosse difficoltà. Vista la situazione, quindi è meglio evitare polemiche sgradite a Pechino e lavorare come nulla fosse».
I dati ufficiali sul commercio estero nel primo trimestre 2011 dimostrano che la politica dell'indifferenza e del cinismo paga. Il Dragone, infatti, oltre a esportare massicce quantità di merci nel mondo, è diventato anche un potente volano per le economie di Europa e Stati Uniti. Nei primi tre mesi del 2011, la Germania ha venduto ben 74 miliardi di dollari di merci oltre la Grande Muraglia, con un aumento del 33% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Frattanto, le esportazioni francesi verso Pechino sono aumentate del 32% a 17 miliardi di dollari; quelle italiane del 27% a 14 miliardi; quelle britanniche del 43% a 11 miliardi; e quelle spagnole del 45% a 6 miliardi di dollari.
Ma a beneficiare del cospicuo aumento dell'import cinese, che per la prima volta da sette anni a questa parte ha spinto in rosso (1 miliardo di dollari) la bilancia commerciale trimestrale della superpotenza asiatica sono stati anche Stati Uniti, Giappone e paesi emergenti.
La Cina è un mercato irrinunciabile per il mondo intero. E poco importa se, proprio in queste settimane, una classe dirigente terrorizzata dal possibile contagio delle insurrezioni popolari nel mondo arabo sta mettendo in atto una repressione contro la dissidenza interna senza precedenti nei suoi otto anni di Governo. Intanto, il mondo libero tace perché gli affari sono affari. E c'è da scommettere che, di fronte al potente richiamo del business, la chitarra di Dylan non sarà l'ultima a suonare note politicamente corrette alle orecchie di Pechino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

12/04/2011
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