Pechino, 1 giu.- Il nemico si nasconde anche nei social network: con questo ammonimento l'Esercito popolare di Liberazione cinese (PLA) ha vietato ai suoi 2,3 milioni di soldati di stringere amicizia sul web. Un provvedimento indispensabile "per assicurare la salvaguardia dei segreti militari, la solidarietà e l'integrità dell'esercito". Secondo quanto riportato dal quotidiano ufficiale delle forze armate, la pubblicazione in rete di contatti e informazioni personali dei soldati permetterebbe agli utenti della rete di localizzare le basi militari dell'esercito cinese. Particolarmente rischiosa è, inoltre, la pubblicazione di foto che immortalano i soldati impegnati in manovre di addestramento o in fase di esercitazione, materiale sensibile che divulgherebbe informazioni sulle capacità tecniche e sull'equipaggiamento del PLA.
I nuovi divieti andranno a implementare il bando indetto lo scorso anno che proibisce ai militari cinesi di aprire dei blog o siti web. Ma in un Paese in cui - nonostante gli ostacoli imposti dalla censura di internet - i social network diventano sempre più popolari, i leader del PLA sembrano aver sentito l'esigenza di rafforzare ulteriormente le restrizioni e 'proteggere' così i militari dai pericoli che si nascondono nella giungla cibernetica.
La mossa del PLA segue di pochi giorni l'ammissione da parte del ministero della Difesa dell'esistenza di un esercito blu cibernetico 'arruolato' con lo scopo di migliorare le capacità difensive dell'Esercito popolare di liberazione e di prevenire gli attacchi esterni al suo network (questo articolo). Al di là dell'effettiva necessità, o meno, di tutelare delle forze armate cinesi, i due provvedimenti sembrano confermare ancora una volta il fatto che per il Dragone il web rappresenta uno dei nemici numero uno; un avversario che, per Pechino, minaccia la stabilità del PCC e rovescia l'ordine dello Stato impedendo così al governo di lavorare per la realizzazione di una società armoniosa. Uno scenario che il Dragone cerca di allontanare a colpi di censura 'grazie' soprattutto alla "Grande Muraglia di Fuoco". Questo filtro – lanciato nel 1998 e costato solo all'avvio più di 650 milioni di euro – si avvale sia di sofisticati software che bloccano automaticamente parole chiave, sia di una sezione della polizia che controlla continuamente la rete, composta – si dice – da almeno 40mila poliziotti. Il controllo è particolarmente penetrante su tutti i siti che agevolano scambi di opinioni e informazioni: social network come YouTube, Facebook, Flickr, Twitter. Ma il popolo del web non ci sta e inizia a manifestare i primi segni di scontento. E' appena di qualche settimana fa la notizia del lancio di una scarpa al padre della Grande Muraglia di Fuoco Fang Binxing. A scagliare l'arma, un cibernauta "stufo di una vita resa troppo difficile dalle restrizioni su internet" (questo articolo).
di Sonia Montrella
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