SHENZHEN: MILLE LAVORATORI IN SCIOPERO

SHENZHEN: MILLE  LAVORATORI IN SCIOPERO

Pechino 25 ott.- Gli scioperi tornano a scuotere Shenzhen, la capitale del manifatturiero cinese: oltre mille lavoratori di una fabbrica di proprietà giapponese stanno incrociando le braccia da oltre una settimana, per protestare contro i bassi salari e le dure condizioni imposte dal management dell'azienda.

 

Secondo i 1178 operai in agitazione, la Citizen Holdings Co. Ltd. - un produttore giapponese di orologi - non ha corrisposto i dovuti contributi pensionistici. Ma i lavoratori protestano anche contro le restrizioni alla catena di montaggio: fin dal 2005 l'azienda ha decurtato dai loro stipendi l'equivalente di 40 minuti giornalieri di salario, per compensare le pause trascorse nei bagni dell'impianto. Gli operai, insomma, pagano per i loro bisogni fisiologici.

 

"Lo sciopero è iniziato dopo che i manager hanno proposto un cambiamento nel calcolo dei salari del reparto produzione della fabbrica - riferisce l'agenzia di Stato Xinhua - causando l'ira dei dipendenti e spingendoli a chiedere maggiori diritti e il pagamento dei contributi non ancora versati".

 

Xinhua riferisce anche che il governo locale ha organizzato diversi tavoli delle trattative tra i lavoratori e il management fin dagli inizi dello sciopero, e che "sta lavorando attivamente per il raggiungimento di un accordo", ma l'agitazione - iniziata il 16 ottobre scorso - prosegue e i dirigenti della Ciziten Holdings si astengono da qualsiasi commento.

 

In Cina, fin dalla costituzione del 1982, lo sciopero non è più un diritto costituzionale, ed esiste addirittura un regolamento interno del PCC del 2004 che prevede sanzioni per i funzionari di Partito responsabili di una giurisdizione nella quale si siano verificate astensioni dal lavoro. Ma se molte normative locali prevedono che  all'ufficio occupazione del luogo spetti il compito di ricomporre le questioni tra lavoratori e imprese, negli ultimi anni si sono succeduti diversi scioperi che hanno avuto una certo eco - anche perché coinvolgevano imprese straniere - e si sono spesso conclusi con qualche vittoria degli operai

 

Nel maggio dello scorso anno, dagli stabilimenti dell'Honda di Foshan - sempre nella provincia del Guangdong - le agitazioni si sono diffuse alle fabbriche delle città di Canton e Wuhan, e sono terminate solo con un aumento dei salari. Successivamente era stato il turno dei lavoratori della Kentucky Fried Chicken di Shenyang, nel Liaoning, e della Kok Machinery di Kunshan, una licenziataria dell'Adidas, anche loro sul piede di guerra per i salari troppo bassi, fino al celeberrimo caso della Foxconn - licenziataria Apple - dove gli operai protestavano per le condizioni lavorative talmente dure da innescare una catena di suicidi.

 

Ad aprile i trasportatori avevano paralizzato per tre giorni il porto di Shanghai, infuriati per un aumento dei prezzi dei carburanti che incideva fortemente sugli stipendi. L'atteggiamento tenuto dal governo oscilla generalmente tra il tentativo di trovare una composizione e "mantenere l'armonia", una certa enfasi data alle proteste quando coinvolgono società straniere, e la repressione adottata in altri casi. L'inflazione, nonostante la leggera frenata di settembre (+6.1%) rispetto al record degli ultimi tre anni registrato a luglio (+6.5%), continua a crescere a ritmi preoccupanti, ben al di là della soglia del 4% entro la quale il governo vorrebbe contenerla per il 2011. E indispettire troppo l'enorme massa di lavoratori che vede di mese in mese ridursi il suo potere d'acquisto potrebbe rivelarsi controproducente.

 

di Antonio Talia

 

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