Pechino, 16 giu.- , Arriva dai massimi livelli del PCC il primo commento ufficialeall'ondata di scioperi che nelle scorse settimane ha caratterizzato lefabbriche del Delta del Fiume delle Perle: il premier Wen Jiabao hadefinito gli operai immigrati dalle campagne più povere "l'esercitodella forza lavoro della Cina contemporanea", riconoscendo però che i lavoratori della nuova generazione "non possono essere soddisfatti" dalle stesse dure condizioni accettate in passato dai loro genitori. "Il nostro benessere, i nostri altissimi grattacieli, sono il frutto del vostro lavoro e del vostro sudore – ha detto il premier – e la vostra fatica è qualcosa di glorioso, che dovrebbe essere rispettato dalla società. Il governo, e la Cina intera, dovrebbero trattare i giovani lavoratori immigrati come trattano i loro stessi figli". Per Wen, che coltiva da sempre un'immagine di leader vicino al popolo, non è insolito esprimersi a favore dell'immensa massa di ex contadini che ogni anno si riversa nelle fabbriche dalle aree rurali; ma, mentre il governo ordina alle forze dell'ordine di "identificare e risolvere i conflitti sociali prima che esplodano", le parole del premier suonano come un monito affinché i funzionari locali prestino maggiore attenzione alle richieste dei lavoratori. Nonostante in Cina lo sciopero sia praticamente illegale, nelle scorse settimane Pechino sembra avere scelto una politica di tolleranza verso le agitazioni all'Honda e negli stabilimenti di altre compagnie straniere, purché le dispute vengano risolte velocemente e con discrezione; davanti ai 50 operai che ha ricevuto ieri, d'altra parte, il premier non ha menzionato direttamente né gli aumenti dei salari né una riforma del sistema dell'hukou, il potente sistema di controllo sociale ereditato dai tempi di Mao che, vincolando i cinesi alla provincia di nascita per l'ottenimento di alcuni diritti basilari in materia di sanità ed educazione, ha di fatto creato quell'immensa classe di immigrati interni sulle cui spalle poggia lo sviluppo della nazione. Dopo i suicidi alla Foxconn, l'azienda di componentistica i cui dipendenti avevano ottenuto un aumento dei salari, gli scioperi hanno bloccato l'impianto Honda di Foshan, nel Guangdong, paralizzando la linea produttiva della casa giapponese in Cina per circa una settimana, e si sono diffusi in altre fabbriche della provincia, culminando nelle agitazioni presso la Honda Lock Co., altro stabilimento di proprietà giapponese nel Delta del Fiume delle Perle. Ed è proprio qui che si sta giocando una partita fondamentale: la scorsa settimana circa 1500 dipendenti sono entrati in sciopero per ottenere un salario minimo di 1700 yuan al mese (circa 202 euro) e hanno successivamente acconsentito a tornare al lavoro fino a venerdì con una paga da 1139 yuan (circa 136 euro), in attesa della nuova proposta dei nipponici. E mentre si moltiplicano le voci sulla decisione del management di Honda Lock Co.di sostituire numerosi scioperanti con forza lavoro più fresca e più docile, i lavoratori sembrano pronti a tornare sul piede di guerra: "Se l'aumento di venerdì prossimo sarà troppo basso, probabilmente sciopereremo ancora" ha dichiarato una giovane operaia ai cancelli della fabbrica. Per i milioni di immigrati interni – anche alla luce dell'inflazione al 3,1% registrata nel mese di maggio – svolgere un "lavoro glorioso" non sembra più sufficiente.
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