Roma, 4 giu.- Non sarà l'ondata di scioperi che in questi giorni ha 'animato' diverse aziende cinesi a demotivare la missione di sistema delle imprese italiane in Cina. Al contrario gli imprenditori italiani non sembrano preoccupati dalle agitazione che hanno costretto Foxconn e Honda ad aumentare del 30% e del 20% i salari dei dipendenti. Dopo l'arrivo il 31 maggio a Chongqing e la tappa a Shanghai per le circa 230 aziende approdate ieri a Pechino al seguito di Confindustria, ICE e ABI, la Cina resta quindi una promessa e una tappa obbligatoria. Le proteste dei lavoratori in difesa dei propri diritti rappresentano una condizione imprescindibile dello sviluppo economico del Paese: "E' impensabile che un Paese come questo, con una crescita così elevata, possa rimanere con un costo del lavoro piantato a livelli così bassi", ha affermato il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ha poi aggiunto: "si tratta un processo inevitabile e che non ci suscita preoccupazioni per il futuro: gli imprenditori che producono qui" ha proseguito la Marcegaglia "sono molto soddisfatti".
Dello stesso parere anche il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi intervenuto al Forum di Pechino, il quale assicura che "la crescita salariale in Cina non è un fattore penalizzante per le imprese italiane che investono in questo Paese, ma al contrario, l'emergere di una nuova classe media porterà di sicuro a nuove domande ed esigenze cui la collaborazione fra le nostre economie può offrire risposte concrete". Un terreno sul quale la Cina e l'Italia hanno ancora molto da lavorare è invece, secondo il ministro Sacconi, quello delle "specifiche regolazioni commerciali" per le quali bisognerebbe "superare le barriere tariffarie, le reciproche contestazioni sui profili della concorrenza sleale, gli ostacoli di carattere regolatorio e garantire il reciproco rispetto della proprietà intellettuale, che merita una completa tutela". La collaborazione tra i due Paesi " è sicuramente vincente" spiega ancora Sacconi "specialmente se indirizzata verso la sostenibilità ambientale, sociale e sull'efficienza energetica, ma deve ruotare intorno ai concetti cardine della complementarietà e della reciprocità". "Siamo qui - ha continuato il ministro - per accompagnare le imprese che investono in Cina ma anche per attrarre investimenti cinesi in Italia. La reciprocità riguarda anche i flussi turistici, che possono crescere nei prossimi anni con progressione geometrica grazie al sostegno dei due governi".
A sperare in un superamento delle barriere economiche c'è anche l'Abi che auspica "un ampliamento degli spazi concessi agli operatori esteri attraverso la progressiva eliminazione delle disparita' tuttora esistenti" Negli ultimi anni si sono moltiplicate le acquisizioni nel mercato locale: nel 2006 Intesa SanPaolo ha fondato con due policy banks cinesi – China Development Bank e China Import Export Bank – il Fondo Mandarin, il primo fondo di Private Equity che acquista partecipazioni in imprese italiane e cinesi di medie dimensioni, per favorirne la crescita in Europa e in Cina. Nel 2007 ha acquisito il 19,9% di Qingdao City Commercial Bank e il 19,9% di Union Life una delle prime dieci compagnie di assicurazione cinesi. Ubi Banca ha invece creato la prima società italo-cinese attiva nel comparto dell'asset management. "In questo quadro complessivamente positivo occorre tuttavia tener presente - ha sottolineato il direttore di Abi Giovanni Sabatini - i numerosi vincoli regolamentari che ancora limitano l'accesso e l'operatività' delle banche estere nel mercato cinese. Basti pensare che, ad oggi, solo il 2% del totale attivo del settore e' riconducibile a gruppi stranieri mentre l'80% e' ancora in mano pubblica. Per aprire una filiale o operare in valuta locale, infatti, sono richiesti anni di attività nel mercato cinese non sempre giustificabili sotto il profilo prudenziale,requisiti di capitalizzazione e liquidity ratios particolarmente gravosi. Resta, inoltre, il tetto del 20% alle partecipazioni di una banca estera in un intermediario locale".
Ma non tutto è ora quel che luccica. La missione, che si avvia a conclusione, ha rischiato un ridimensionamento dell'importanza della delegazione cinese a causa dell'assenza del dimissionario ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, sostituito a pochi giorni dalla partenza dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Un ritardo politico che, a causa della rigida etichetta di Pechino, potrebbe costare caro alle nostre imprese.
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