Scelta ineccepibile ma poco strategica
ADV
ADV
Scelta ineccepibile ma poco strategica

Scelta ineccepibile ma poco strategica

ANALISI
di lettura
Quando - è successo appena due settimane fa - la City di Londra stringe un patto con la Cina per diventare la grande piazza occidentale del trading off-shore per lo yuan, quando George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere britannico, dice apertamente di voler fare del suo Paese «il luogo privilegiato per gli investimenti e la finanza asiatica in Occidente», può Bruxelles bocciare a cuor leggero la fusione tra Deutsche Börse e Nyse-Euronext, quella che avrebbe dato vita al colosso mondiale per gli scambi di derivati?
Tecnicamente la decisione di Joaquin Almunia, appare ineccepibile. Il matrimonio tra i due grandi concorrenti avrebbe regalato loro una situazione di «quasi monopolio» in Europa con effetti perversi per l'economia ha sottolineato il commissario Ue alla Concorrenza. Non solo. Avrebbe dato un duro colpo a una sana evoluzione di prezzi e innovazione nel caso dei due protagonisti della mancata operazione. Del resto, visto che insieme avrebbero controllato oltre il 90% degli scambi internazionali di derivati europei, il sillogismo non fa una piega.
Il problema è un altro e riguarda la "strategia" della politica e della dottrina europea della concorrenza nell'era della globalizzazione. Un'era che sta riconfigurando dovunque e con estrema rapidità i parametri di riferimento dell'economia, della produzione, della finanza. Modificando quindi anche il contesto in cui il sistema-Europa è chiamato a misurarsi.
La sensazione è che ieri la decisione di Bruxelles abbia fotografato la realtà attuale, senza allungare troppo lo sguardo sul dopodomani. Non a caso il mercato dei derivati preso in considerazione è solo quello trattato in Borsa. Senza includere anche l'over the counter in quanto i due segmenti non intercambiabili, per così dire "separati in casa". Se però si fosse tenuto conto anche delle transazioni fuori Borsa, quel virtuale abuso di posizione dominante vietato ieri si sarebbe dissolto in quasi nulla, visto che la quota del gigante mancato sarebbe precipitata al 15% del mercato europeo e al 4% di quello mondiale. Una scelta del genere, meno restrittiva, non sarebbe stata né arbitraria né campata in aria visto che proprio la nuova legislazione europea in discussione punta a far saltare la compartimentazione tra i due mercati, standardizzato e non, per far confluire in Borsa tutti gli scambi di derivati.
Se poi sul mercato dei derivati la competizione è ormai globale, fino a che punto ha la necessaria valenza "competitiva" una decisione che abbia come parametro di riferimento il mercato europeo? Senza arrivare ai commenti "funebri" del presidente di Deutsche Börse («Giorno nero per l'Europa e il futuro della sua competitività sui mercati finanziari globali»), i dubbi sull'opportunità del veto sono giustificati almeno quanto la convinzione della sua bontà.
Con la City che flirta con Hong Kong e Pechino per diventarne la longa manus finanziaria in tutto l'Occidente. Con Cina e Giappone che stipulano un'intesa per commerciare le materie prime in yen e yuan e non più in dollari. Con l'America di Barack Obama che guarda con sempre più interesse alle frontiere dell'Asia-Pacifico, bocciare una fusione transatlantica, cioè il rafforzamento di un legame economico-finanziario ma anche politico per di più in un settore che rappresenta la linfa vitale per il futuro di stabilità e benessere dei sistemi globali, appare più che discutibile. Con Cina ed emergenti che tendono a crescere straripando dovunque, l'integrazione rafforzata tra Stati Uniti ed Europa, a tutti i livelli, appare una risposta semi-obbligata. Come il "cumulo" di competitività. Per la dottrina europea della concorrenza è venuto il momento di riprendere le misure del mondo globale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Adriana Cerretelli

02/02/2012
ADV