RINNOVABILI, CINA "FA PASSI DA GIGANTE"

RINNOVABILI, CINA  "FA PASSI DA GIGANTE"

Milano, 22 mar.  - Con la crisi nucleare in Giappone, brilla ancora di più la stella delle rinnovabili, un mercato che nel 2010 ha registrato investimenti per circa 160 miliardi di euro e in cui la Cina "ha fatto passi da gigante". Sono questi alcuni dei numeri che hanno fatto da sfondo all'incontro "Fonti rinnovabili e mercato cinese. Quali opportunità per le imprese italiane?", organizzato dall'Oir, l'Osservatorio internazionale sull'industria e la finanza delle rinnovabili. Un incontro, quello dell'osservatorio presieduto da Andrea Gilardoni, che ha avuto un ospite d'eccezione, il professor Long Weiding dell'università Tongji, a cui è toccato il compito di tracciare lo scenario che si sta delineando a Pechino e le opportunità che può aprire. "La Cina in questo campo ha fa passi da gigante e dove si muove lo fa in maniera non leggera", ha ricordato Gilardoni.

A guidare la corsa cinese, secondo quanto ha delineato Long, sono principalmente due trend: da un lato la fame energetica del paese asiatico, spinta fra le altre cose dalla veloce urbanizzazione in atto, dall'altro gli obiettivi del governo in ambito di inquinamento, concordati anche in sedi internazionali. E se allora bisogna considerare che il consumo elettrico "sale di circa il 6% l'anno" e che la potenza installata è passata dai 319 gigawatt del 2000 ai 950 gigawatt del 2010" (una quantità maggiore di quella prodotta da tutta l'Ue), non si può non tener conto che il 75% viene dal carbone, il 19% dal petrolio, un 4% dal gas e appena un 1,2% da risorse non fossili.

A partire da questi scenari, tenendo in considerazione che attualmente il consumo di energia elettrica procapite in una megalopoli come Shanghai è circa ¼ di quello di New York e metà di quello di Tokyo - e quindi è destinato inevitabilmente a salire - e tenendo conto anche che, se già a partire dallo scorso anno il 50% dei cinesi vive in città, questa percentuale è destinata a salire al 66% entro il 2025, la fame di energia della Cina è facile da immaginare. Se poi si considera che l'obiettivo del governo di Pechino – inserito nel Dodicesimo Piano Quinquennale 2011-2015 (questo dossier) - è "un utilizzo di energie non fossili pari all'11,4% nel 2015 e al 15% nel 2020" e lo stop arrivato sul nucleare dopo il terremoto che ha colpito il Giappone (questo articolo), le opportunità che si aprono sulle rinnovabili sono decisamente ampie, anche considerando che la Cina produce già il 40% dei pannelli fotovoltaici del mondo e che ha un ruolo sempre più di primo piano anche nell'eolico.

Certo, la situazione non è tutta rose e fiori: oltre ai problemi legati alla trasmissione, la geografia, per esempio, non favorisce lo sviluppo delle energie alternative, perché "per il solare la zona più interessante è il Tibet", mentre per l'eolico "è la parte nord del Paese", e queste sono le zone "meno sviluppate" e quindi meno energivore. Bisogna mettere in conto, poi, che, immaginando una piramide, "le rinnovabili stanno in alto, la base è il risparmio energetico, poi viene l'aumento di efficienza, poi le pompe di calore". La presenza di grandi monopoli in segmenti quali nucleare, idroelettrico ed eolico costituiscono senz'altro una barriera d'ingresso. Se il fotovoltaico è un mercato saturo, "le opportunità per le imprese italiane – ha concluso Long – vengono dalle nuove tecnologie (come fuel cells, biogas, inceneritori, sistemi di waste management), dalle tematiche relative alle smart grid e dall'energia urbana intelligente".

Ma cosa devono fare le aziende italiane per sfruttare questi spazi? Le opinioni di chi ha partecipato al tavolo moderato da Marino Lizza -  esponenti di Confindustria, del mondo della finanza, delle aziende che si occupano di energia e delle amministrazioni pubbliche – hanno dei punti in comune: due su tutti, inserirsi nelle nicchie, possibilmente quelle ad alto valore aggiunto, e fare sistema, così da sopperire alle piccole dimensioni delle Pmi italiane, soprattutto di fronte ad un mercato delle dimensioni di quello cinese. Per il secondo punto la strada è in qualche modo segnata, e passa per l'affidarsi a realtà istituzionali come le ambasciate, i consolati, e l'Ice. Proprio Ferdinando Gueli dell'Istituto per il commercio estero ha spiegato che "il contesto politico ed economico è favorevole", con il nostro export verso la Cina che è cresciuto e Pechino che ha "rimosso l'obbligo per le industrie dell'eolico di usare almeno il 70% di componenti costruiti in loco", per "andare a occupare nicchie di componenti tecnologici a valore aggiunto". La crescita di produzione delle turbine eoliche di maggior potenza (1,5-2MW) riflette il rapido sviluppo dell'offshore, "il modo migliore per la Cina di sfruttare l'eolico".  Alla lista delle opportunità si aggiunge "la forte necessità di sviluppo di reti di trasmissione intelligenti (smart grids) e di sistemi di gestione efficienti", spiega Gueli che conclude con cinque parole chiave: "analisi, strategia, partnership, localizzazione e relazioni", sfruttando, per quest'ultime, il ruolo delle istituzioni.

"Le relazioni sono un punto cruciale – ha confermato Cristiana Pace, responsabile del desk Asia di Confindustria – Le nostre Pmi da sole non ce la fanno. Il supporto delle banche, ad esempio, è fondamentale". Gli investimenti sulle rinnovabili e la protezione della proprietà intellettuale costituiscono ancora oggi dei punti critici. "I fondi di venture capital continuano a investire sulle energie rinnovabili, ma la dipendenza dagli incentivi pubblici rappresenta un grosso rischio per gli investitori" ammette Stefano Carpigiani di Cleantech. "Bisogna – ha concluso il professor Long – che entrino come sistema, perché dal punto di vista del prodotto sono piccole realtà: devono arrivare con tecnologie d'avanguardia, inserendosi in mercati di grande scala ma di alta tecnologia".

 

di Matteo Buffolo

 

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