PRUDENZA CINESE
Di Geminello Alvi
Ancona, 18 mar. - La difficoltà della posizione internazionale cinese è evidente nell'andamento divergente persino dei cambi col dollaro. Il tasso effettivo di cambio cinese ovvero il tasso reale di cambio ponderato della Cina, secondo le statistiche della BRI è aumentato del 26% negli ultimi quattro anni, mentre il dollaro è cresciuto solo del 12% nello stesso periodo. Le valute delle controparti cinesi nei mercati emergenti hanno infatti subito deprezzamenti consistenti, con il real brasiliano in caduta del 16%, il rublo in Russia del 32%, e la rupia indiana del 12%. Tanto che la divisa cinese si è apprezzata più di tutte quelle degli altri stati considerati in quelle serie statistiche. Un effetto che sommato alla debolezza della domanda mondiale spiega il calo delle esportazioni totali del 3% su base annua nel mese di gennaio. Peraltro la struttura dei prezzi cinesi per effetto del cambio si sta ridimensionando al ribasso, con un aumento annuale dei prezzi al consumo solo dello 0,8% nel mese di gennaio, e il declino annuale dei prezzi alla produzione al 4,3%. Un andamento nel quale non pochi analisti hanno individuato dei rischi deflattivi. Si spiegano pertanto i dubbi crescenti circa un allentamento della politica monetaria cinese che dia sollievo al tasso di cambio.
E tuttavia sono al contempo palesi due argomenti che non consigliano una simile mossa. Una valuta forte infatti favorisce il passaggio dell'economia cinese, il cui prodotto totale adesso dipende circa per un quarto dalle esportazioni, ad una crescita più equilibrata e con una quota maggiore dei consumi interni. La crescita del reminbi rispetto al dollaro di quasi un terzo se misurata da metà del 2005 quindi coerente a questo obiettivo, rafforzando il potere d'acquisto dei consumatori cinesi. Il secondo argomento da valutare è che un deprezzamento della divisa cinese, rischierebbe di avere per effetto verosimile, non soltanto negli Stati Uniti, sanzioni commerciali nei confronti della Cina. Sancirebbe l'avvio di una guerra commerciale e delle valute che toglierebbe equilibrio all'economia mondiale e dalla quale però i cinesi per primi sarebbero svantaggiati. In conclusione se ne potrebbe dedurre che ritorna necessario che la Cina eserciti in questa congiuntura la stessa prudenza nella gestione dei cambi che esercitò durante la crisi del 1997-98.
18 marzo 2015
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