Pechino apre la nuova via del gas
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Pechino apre la nuova via del gas

Pechino apre la nuova via del gas

Energia. Inaugurato in Turkmenistan il primo troncone della pipeline che collega i paesi dell'Asia centrale allo Xinjiang
di lettura
Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina apre nuovi orizzonti commerciali alle fonti di energia del Turkmenistan e aiuta la Repubblica centro-asiatica a smarcarsi dal controllo russo.
Ieri il presidente cinese, Hu Jintao, ha inaugurato il primo troncone del nuovo gasdotto che porterà il combustibile naturale dai pozzi del Turkmenistan ai terminali dello Xinjiang, la turbolenta provincia dell'estremo Ovest cinese. La pipeline - che sarà lunga 1.833 chilometri e attraverserà anche il Kazakhstan e l'Uzbekistan - è frutto di un accordo siglato un paio di anni fa da China National Petroleum e dal Governo turkmeno, con cui quest'ultimo diede in concessione trentennale al colosso energetico cinese lo sfruttamento di un gruppo di giacimenti sottoutilizzati e semi abbandonati nell'area desertica di Samandepe.
Abbandonati, ma ricchi di gas. Che ora, grazie ai massicci investimenti cinesi (l'impegno finanziario complessivo di Pechino dovrebbe aggirarsi intorno a 20 miliardi di dollari), inizierà a fluire dalle viscere della terra abbondante come non mai: entro il 2013, quando andrà a regime, la pipeline convoglierà 40 miliardi di metri cubi di gas l'anno verso la Cina.
Hu Jintao si è sobbarcato diverse ore di volo per raggiungere una landa sperduta nel cuore dell'Asia per essere presente alla cerimonia: l'affare del gas tra Cina e Turkmenistan è di quelli che contano. E anche i leader delle tre repubbliche centro-asiatiche coinvolte nell'operazione hanno deciso di calare fino a Samandepe giusto per stringersi la mano. All'inaugurazione era presente, su espresso invito del presidente turkmeno, anche l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, che ha così potuto fare il punto sugli accordi firmati a Roma lo scorso novembre con le autorità di Ashgabad.
Il Turkmenistan, a differenza delle altre repubbliche ex sovietiche con cui Pechino ha già stabilito da tempo accordi energetici, è un paese lontano che non confina con la Cina. Per quest'ultima, quindi, mettere le mani sui suoi giacimenti di gas rappresenta un notevole successo.
Sotto il profilo economico, perché l'acquisizione della fornitura trentennale di gas dai pozzi di Samandepe contribuirà alla diversificazione degli approvvigionamenti cinesi di combustibili fossili. E anche sotto il profilo geopolitico, perché, nel risiko ingaggiato negli ultimi anni da Russia, Cina e Stati Uniti per il controllo delle fonti di energia dell'Asia centrale, l'accordo con il Turkmenistan consente alla Cina di stabilire un rapporto organico con un'altra nazione chiave negli equilibri regionali.
Un rapporto che, alla luce della crescente influenza di Pechino nel continente, in futuro potrebbe farsi sempre più stretto a svantaggio delle altre due superpotenze. «La realizzazione del gasdotto non ha solo un valore economico e commerciale, ma anche politico poiché la Cina, grazie alla sua politica saggia e lungimirante, è diventata una garante di primo piano della sicurezza globale», ha detto ieri il presidente turkmeno, Gurbanguly Berdymukhamedov. Parole chiare che sembrano destinate ad aprire nuove prospettive alle relazioni politiche tra Ashgabad e Pechino. E a mettere in allarme Mosca, Washington e anche Teheran che, dopo essersi a lungo confrontate per aggiudicarsi il gas turkmeno, ora temono che ad aggiudicarsi la fetta più grossa della torta sia il quarto incomodo cinese.
Benché piccolo e isolato, il Turkmenistan custodisce nel sottosuolo il quarto giacimento di gas naturale del pianeta. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la repubblica centro-asiatica è diventata un obiettivo prioritario per Russia, Iran e Stati Uniti. Le quali hanno cercato a più riprese di offrire al paese una soluzione al doppio problema logistico che ha sempre frenato lo sviluppo dello sfruttamento su larga scala dei suoi giacimenti: l'isolamento geografico e l'instabilità delle sue relazioni internazionali. Lontano dai porti di sbocco, incapace di sostenere i massicci investimenti necessari per la realizzazione delle pipeline, ostaggio degli umori delle nazioni confinanti sul cui territorio sarebbero dovuti transitare i gasdotti, finora il Turkmenistan non è mai riuscito a portare il suo gas sui mercati internazionali.
Sfruttando questa debolezza, nell'ultimo ventennio ognuno dei potenziali partner del Turkmenistan ha messo sul tavolo la propria proposta. Gli Stati Uniti il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan, oppure il ricongiungimento con la grande pipeline che attraversa il Mar Caspio. L'Iran il gasdotto Korpezhe-Kurt Kui, un'infrastruttura che fu completata nel 1997 e che tutt'oggi convoglia la maggior parte delle esportazioni di gas turkmene. La Russia l'allacciamento delle pipeline del Turkmenistan alla sua grande rete di gasdotti e oleodotti che trasporta combustibili fossili in giro per il mondo.
Per ora l'ha spuntata la Cina. Ma il "grande gioco" per il controllo delle fonti energetiche dell'Asia centrale continua: tra qualche settimana toccherà al presidente russo, Dmitrij Medvedev, rendere visita al Turkmenistan per discutere nuovi progetti nel settore del gas.
ganawar@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

15/12/2009
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