Pechino apre a intesa sul clima
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Pechino apre a intesa sul clima

Pechino apre a intesa sul clima

Il vertice Onu. Ma pone condizioni
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DURBAN. Dal nostro inviato
Il vertice climatico dell'Onu entra oggi nella fase cruciale: oltre 130 ministri dell'Ambiente arrivano a Durban, in Sudafrica, nel tentativo di sbloccare – entro venerdì – una trattativa che si trascina faticosamente da anni, mostrando tutti i limiti del multilateralismo.
A vivacizzare i colloqui, ci ha pensato ieri la delegazione cinese guidata da Xie Zhenhua, il vicepresidente della potente Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo: la Cina, ha detto, è pronta ad assumere impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni-serra a partire dal 2020. Il fatto che la Repubblica Popolare sia sempre stata esclusa dagli obblighi del Protocollo di Kyoto, ha puntualmente offerto il pretesto agli americani – tanto all'amministrazione Bush, che a quella Obama – per non accettare obblighi a loro volta: da ormai due anni la Cina è il primo Paese al mondo per consumi di combustibili fossili e, quindi, per emissioni di gas-serra.
L'apertura cinese sembra una bella notizia. Ma certo non sufficiente a sbloccare un negoziato che – a meno di clamorose sorprese da qui a venerdì – resta impantanato nelle divisioni fra Nord e Sud, fra Est e Ovest del mondo. Zhenhua, da buon diplomatico, ha messo anche delle condizioni: il Protocollo di Kyoto deve andare avanti e continuare a imporre tagli alle emissioni al mondo "ricco". Peccato che, sempre a vedere le attuali posizioni negoziali, sembra proprio che il Protocollo sia destinato ad estinguersi il 31 dicembre dell'anno prossimo, quando la cosiddetta prima fase arriva al termine. Canada, Russia e Giappone hanno già fatto trapelare di non essere disposte a entrare nella seconda. E l'Europa – che in questa partita globale gioca da tempo il ruolo di paladina dell'ambiente – ha già messo in chiaro che non intende andare avanti da sola. «L'Europa rappresenta solo l'11% delle emissioni globali – ha detto la commissaria al Clima, Connie Hedegaard – e non avrebbe senso».
Fra le altre condizioni cinesi, c'è il rapido finanziamento del Green Climate Fund deliberato l'anno scorso al vertice di Cancun, con 30 miliardi in cassa dall'anno prossimo e 100 miliardi l'anno dal 2020, per aiutare i Paesi del Terzo mondo – che in questa storia hanno responsabilità modeste e trascurabili – a sostenere l'impatto dei cambiamenti climatici provocati dall'anidride carbonica generata, per secoli e decenni, dalle economie del mondo occidentale. Inutile dire che, nonostante le promesse dell'anno scorso, ci sono tuttora ragionevoli dubbi che il fondo riesca ad essere finanziato.
Certo, la crisi economica ha aggiunto un ulteriore ostacolo, lungo questo difficile percorso negoziale che – secondo le regole Onu – ha bisogno dell'unanimità per prendere decisioni di lungo periodo. Secondo numerosi scienziati però, la data del 2020 è troppo di lungo periodo: la stessa Unione Europea, si dice pronta a fare concessioni, solo se il vertice riuscirà a partorire una chiara roadmap che porti a un nuovo trattato internazionale entro il 2015. Riuscire a trovare un'intesa su tutto questo entro venerdì notte sembra, come da tradizione, un obiettivo irraggiungibile.
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06/12/2011
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