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I dati dell'U.S. Energy Department's Oak Ridge Institute for Science and Education si riferiscono al 2002: cinque anni dopo (l'ultima indicazione disponibile), su 2.325 cinesi arrivati al dottorato di ricerca, 2.139 risiedevano ancora negli States. Ma il fenomeno non riguarda solo i dottorandi del gigante asiatico. Il 62% di tutti gli stranieri - dagli indiani ai canadesi, dai sudcoreani ai turchi - che hanno portato a termine il loro phd ha deciso di mettere radici. Andando indietro nel tempo, al 1997, un buon 60% era ancora lì dieci anni dopo, in quattro casi su dieci nei settori della tecnologia informatica, della matematica e ingegneria.
Negli ultimi due anni, in realtà, si è registrata una lieve inversione di tendenza, dovuta alla crisi economica e finanziaria che ha colpito gli Usa, con il conseguente pesante impatto sull'occupazione. Parallelamente, il mercato, la ricerca e le condizioni di vita in Cina sono andati migliorando, e molti studenti che un tempo avrebbero puntato al Massachusetts Institute of Technology di Boston o a qualche altro centro d'eccellenza americano hanno ora valide alternative. Non ne aveva, nel 1999, Joy Ying Zhang: una valigia in una mano e duemila dollari nell'altra, lasciò la provincia di Unan, nel sud del paese, per andare a studiare alla Wayne State University di Detroit. Oggi ha 35 anni e fa il ricercatore alla Carnegie Mellon, nella Silicon Valley, la stessa dove aveva concluso il suo phd in informatica. «Sono dieci anni che vivo qui - ha detto al Wall Street Journal - e mi ci è voluto del tempo per abituarmi. Ora sarebbe dura riabituarsi alla Cina».
E.D.C.
28/01/2010
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