Pechino, 21 mar.- Pechino decide di incrementare ancora una volta i requisiti di riserva obbligatoria delle banche: con un comunicato diffuso venerdì scorso la Banca centrale ha reso noto che a partire dal 25 marzo prossimo tutti gli istituti di credito cinesi dovranno innalzare le riserve obbligatorie di 50 punti base "a causa dell'incertezza che attraversa il panorama economico globale in seguito al devastante terremoto e alla crisi nucleare che hanno colpito il Giappone".
Per le principali banche cinesi sale così al 20% la quota di capitale da accantonare obbligatoriamente presso la Banca centrale: si tratta del terzo incremento dall'inizio del 2011 (questo articolo) , segno che People's Bank of China intende proseguire sul cammino intrapreso da mesi per drenare l'eccesso di liquidità in circolazione nel sistema finanziario cinese e contrastare così i continui aumenti dell'inflazione.
Le statistiche ufficiali segnalano che nonostante le misure intraprese dal governo – tra cui anche tre aumenti dei tassi d'interesse tra la fine dell'anno scorso e oggi –, in Cina il costo della vita continua a salire a ritmi incessanti: a febbraio l'indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 4,9% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso (questo articolo), percentuale identica a quella registrata in gennaio, al di sopra della soglia del 4% entro la quale la leadership cinese punta a contenerlo per il 2011. Pesano ancora una volta i rincari dei generi alimentari, il cui prezzo è cresciuto dell'11%, registrando un'ulteriore accelerazione rispetto al +10,3% del mese di gennaio. Nel suo discorso di apertura dell'Assemblea Nazionale del Popolo, all'inizio di marzo, il premier Wen Jiabao aveva definito il mantenimento dei prezzi a un livello stabile "una priorità assoluta", sostenendo che si tratta di "un problema che riguarda il benessere del popolo e che influenza la stabilità sociale" (questo articolo). Il premier non aveva risparmiato neanche una stoccata indiretta agli Stati Uniti, che secondo Pechino avrebbero esportato inflazione verso le economie emergenti dopo il nuovo alleggerimento quantitativo da 600 miliardi di dollari deciso a novembre dalla FED per sostenere un'economia che stenta a riprendersi dopo la crisi finanziaria globale.
Ma le ragioni dei rincari del costo della vita sono anche endogene. Proprio per contrastare la crisi, a partire dal 2008 le banche cinesi hanno allentato i cordoni delle borse immettendo un flusso imponente di liquidità nel sistema: si stima che negli ultimi due anni siano stati erogati nuovi prestiti per la cifra record di 17.500 miliardi di yuan (pari a 1900 miliardi di euro), circa un quarto del totale dell'economia cinese nello stesso periodo. Dopo i brillanti risultati conseguiti negli ultimi anni (nel 2010 l'economia cinese è cresciuta del 10,7%) nonostante la crisi globale e il calo delle esportazioni, oggi Pechino teme soprattutto l'inflazione e i rischi dello scoppio di una bolla immobiliare.
Le ultime misure sembrano avere sortito qualche effetto: i nuovi prestiti erogati a febbraio sono scesi a quota 535.6 miliardi di yuan (circa 57 miliardi di euro) contro i 1040 (111 miliardi di euro) di appena un mese prima. I prezzi delle nuove abitazioni, pur continuando a crescere, nell'ultimo mese hanno registrato una lieve flessione in otto delle 70 principali città cinesi, e i rincari sono stati comunque più contenuti rispetto al mese di gennaio. Molti analisti e osservatori, tuttavia, ritengono che People's Bank of China adotterà ulteriori misure restrittive nel breve periodo.
di Antonio Talia
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