Pechino, 08 feb. - Il surplus delle partite correnti cinesi si è ridotto di quasi un terzo nel 2009: lo riferiscono le prime stime della SAFE (State Administration of Foreign Exchange) di Pechino, secondo cui l'anno scorso questo indicatore avrebbe raggiunto approssimativamente quota 284.1 miliardi di dollari. Si tratta della prima forte contrazione registrata dal 2001, netto segnale delle ripercussioni della crisi globale su un'economia fortemente orientata all'export come quella del Dragone: se un surplus di questo valore, da un lato, indica infatti come la Cina abbia continuato a ricevere rimesse dagli emigranti e soprattutto ad esportare più beni di quanti non ne abbia importati, nel 2007 e nel 2008 l'indicatore era rispettivamente all'11% e al 9.4% del PIL nazionale, laddove nel 2009 ha raggiunto un "modesto" 5.8%. Scorporando i dati, poi, si scopre che all'interno del conto delle partite correnti - formato da tutte le operazioni non finanziarie dovute agli scambi di merci, servizi, redditi da fattori produttivi e trasferimenti unilaterali come le rimesse degli emigranti - l'attivo si registra alle voci dell'export di beni e dei trasferimenti unilaterali, mentre la voce servizi è invece caratterizzata da un deficit di 28.7 miliardi di dollari, segno che in Cina il terziario è ancora indietro rispetto agli altri settori. Nel 2009, a causa del calo delle esportazioni dovuto alla crisi globale, il surplus commerciale cinese è sceso a quota 249.3 miliardi di dollari contro i 368.7 miliardi registrati nel 2008. Nonostante molti osservatori abbiano accolto con favore l'erosione nel surplus delle partite correnti di Pechino, segnale dell'efficacia delle politiche varate per sollevare la domanda interna e diminuire la dipendenza dalle esportazioni, numerosi analisti sottolineano che il governo dovrebbe fare di più per ridurle ulteriormente: l'enorme surplus del Dragone, infatti, combinato con l'enorme deficit statunitense, viene percepito come un fattore estremamente destabilizzante per l'economia mondiale. Nel frattempo, un rapporto appena pubblicato dal Centre for Forecasting Science – una divisione della Chinese Academy of Social Sciences, il più importante think-tank del governo cinese - prevede che la Cina tornerà ad una crescita del 10% nel 2010. Secondo il dossier, l'indice dei prezzi al consumo - principale indicatore dell'inflazione - potrebbe aumentare di più del 3%, proseguendo così il trend iniziato a fine 2009. Gli analisti della CASS, infine, si aspettano un aumento di circa il 17% nelle esportazioni e un aumento di poco inferiore al 19% nell'import.