È ancora battaglia intorno al pacchetto di misure straordinarie per l'economia varato dal governo di Pechino nel novembre scorso. Il China National's Audit Office, la versione cinese della Corte dei Conti, ha lanciato l'allarme lunedì scorso con la pubblicazione di un nuovo rapporto: una parte dei 4mila miliardi di yuan (circa 430 miliardi di euro) delle misure straordinarie sarebbe rimasta intrappolata nelle maglie del sistema bancario invece di arrivare all'economia reale. "Non abbiamo riscontrato grosse violazioni- si legge nel dossier- e il 94% dei fondi messi a disposizione dal governo centrale sono stati allocati per la creazione di 335 nuovi progetti. Ma solo il 48% dei fondi supplementari è stato effettivamente stanziato, causando ritardi nell'avvio di molti altri progetti, mentre altri ancora rischiano di rimanere incompiuti". Che cosa sta succedendo? Si starebbe parzialmente verificando uno dei timori espressi dall'ufficio dei revisori al varo del pacchetto: alcune banche, specialmente a livello locale, non stanno operando con l'adeguata due diligence, e molte compagnie che hanno ottenuto l'accesso ai fondi straordinari li starebbero investendo in operazioni finanziarie ad alto tasso di speculazione o depositando su conti bancari per ottenere gli interessi, anziché impiegarli in nuove iniziative imprenditoriali capaci di ridare linfa all'economia nazionale. Il China National'Audit Office ha così lanciato la proposta di un'ispezione generale ai maggiori istituti di credito del paese, tra cui ha nominato colossi come Agricultural Bank of China, per verifica se stiano effettivamente "partecipando all'aumento della domanda interna e alla promozione della crescita economica". Il rapporto dei revisori dei conti arriva in un momento molto delicato per l'economia cinese: il direttore dell'ufficio finanziario della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme Xu Lin ha da poco dichiarato che "la Cina sarà assolutamente in grado di raggiungere l'obiettivo di una crescita dell'8% anche nel 2009". La Commissione è il principale organo di pianificazione economica del paese e Xu uno dei funzionari più in vista; ma la sicurezza ostentata sul "risultato positivo degli indicatori dei primi quattro mesi" è in netta contraddizione con quanto affermato da David Dollar, direttore dell'ufficio cinese della Banca Mondiale. "Mi sembra che l'entusiasmo sia prematuro- ha dichiarato Dollar martedì scorso durante una conferenza economica a Pechino- e finché non assisteremo a una ripresa degli investimenti privati sarà difficile essere troppo ottimisti verso il futuro. La Cina può permettersi un grosso deficit fiscale nel breve periodo, ma alla lunga nessun paese può mantenerlo. Non è questa la fonte della vera crescita economica". Dollar ha poi invitato Pechino, dove il governo centrale mantiene ancora un saldo controllo sui tassi d'interesse e su quelli di deposito delle banche, a muoversi "lentamente verso un sistema finanziario più aperto e competitivo". La prima a raccogliere le preoccupazioni dei revisori dei conti è stata la Commissione per la Regolamentazione Bancaria, l'authority per gli istituti di credito di Pechino, che a solo un giorno dalla pubblicazione del rapporto ha diffuso una bozza di nuove regole per assicurarsi che i prestiti bancari vengano effettivamente impiegati in nuovi progetti economici. E se qualcuno ha maliziosamente insinuato che il lasso di tempo tra gli interventi delle due authorities sembra troppo breve per non essere calcolato, le misure invocate dalla Commissione per lottare contro le speculazioni appaiono molto severe: ogni prestito che superi del 5% la somma stimata per il progetto da finanziare o sia comunque superiore ai 5 milioni di yuan (circa 536mila euro) verrà versato direttamente ai developer, mentre chi ha aperto la linea di credito rimarrà l'unico responsabile di eventuali usi differenti dei fondi. La norma verrà discussa fino al 16 giugno prossimo e, dopo eventuali modifiche, potrebbe entrare in vigore nel giro di sei mesi. Dei 4mila miliardi di yuan del pacchetto di misure straordinarie, circa mille sono forniti direttamente dal governo centrale, mentre il resto spetta ai governi locali e agli istituti di credito: basteranno le proposte della Commissione per la Regolamentazione Bancaria e la vigorosa presa di posizione dei revisori dei conti a evitare che la quota delle banche si perda tra le speculazioni?