Pechino, 23 giu.- Terzo giorno di sciopero per 4.000 lavoratori cinesi della provincia del Guangdong. E' successo a Canton dove gli operai della fabbrica di borse sudcoreana Simone Limited - che produce tra gli altri per Burberry, DKNY, Michael Kors e Coach – hanno incrociato le braccia contro le "oppressive condizioni di lavoro" chiedendo aumenti di stipendio e maggior rispetto. Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, il personale – composto per l'80% da donne - dice di essere costretto a lavorare per 12 ore al giorno, di avere solo tre pause al giorno per la toilette e di poter bere solo in quei momenti. Il tutto per un salario base pari a 1.100 Yuan (circa 100 euro) mensili per otto ore lavorative che può arrivare fino a 1.900 yuan (circa 200 euro) mensili con le ore di 'straordinario'. Ma alla Simone Limited lavorare 12 ore al giorno è ormai la prassi: lo stipendio base è troppo basso, spiegano al SCMP alcuni dipendenti che chiedono un aumento di 200 yuan. Un aggiustamento necessario anche alla luce dell'inflazione galoppante che ha investito la Cina. Secondo la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, l'indice dei prezzi al consumo di giugno supererà il +5.5 anno su anno riportato in maggio e l'inflazione sta colpendo soprattutto i generi alimentari. "Dai nostri stipendi, l'azienda detrae altri 200 yuan per la previdenza sociale e 100 yuan ogni mese per la mensa se decidiamo di mangiare all'interno della fabbrica. Il cibo è spazzatura, non è adatto al consumo umano, ma non abbiamo scelta" spiega una ventiseienne proveniente dalla provincia dell'Hunan. Un altro ragazzo di Chongqing aggiunge: "I manager coreani ci trattano come fossimo delle bestie. I capi entrano persino nei bagni delle donne ogni volta che lo desiderano". "Ci rimproverano in continuazione. Ci hanno addirittura confiscato i cellulari" ha poi aggiunto.
Intanto a Meishan, dove ha sede la fabbrica, la tensione si fa alta: diverse squadre di polizia hanno raggiunto l'azienda per mettere fine ai 'disordini' e, secondo alcuni lavoratori, almeno una donna e un uomo sono stati stati picchiati martedì dalle forze dell'ordine. Una prospettiva che ha 'convinto' diversi dipendenti a tornare al lavoro, ha dichiarato alla stampa un'operaia.
Nel Guandong, cuore pulsante dell'industria cinese, il malcontento dei milioni di lavoratori migranti monta già da diverse settimane. Diverse centinaia di dipendenti di una fabbrica di orologi di Chang'an, nella città-fabbrica di Dongguan, hanno scioperato la scorsa settimana protestando contro l'eccessivo orario lavorativo. All'inizio del mese, a Xitang, vicino Canton una folta folla di persone sono è scesa in strada dopo aver saputo della morte di un venditore della provinciale del Sichuan picchiato dalla polizia. La protesta è terminata con l'arresto di diciannove manifestanti sono stati arrestati. E sempre a giugno, a Chaozhou nella zona orientale della provincia del Guangdong, centinaia di mingong – i lavoratori migranti – si sono scontrati con la polizia per una disputa sui salari al termine della quale un uomo è stato ferito con un coltello.
E sempre il Guangdong era stato lo scenario lo scorso anno di un'ondata di scioperi che avevano agitato la taiwanese Foxconn, l'azienda che per mesi aveva occupato le prime pagine dei giornali a causa di una serie di suicidi, 12 dall'inizio dell'anno dei propri dipendenti, sfiniti dalle condizioni di lavoro cui erano sottoposti. Episodi, questi, che hanno dato il coraggio ai lavoratori di far valere i propri diritti. Turni di più di dodici ore al giorno per una paga da mille yuan al mese (circa 110 euro), pause pranzo brevissime, tempi cronometrati per i bisogni corporali e il divieto categorico per i dipendenti di parlare: questa la descrizione di una giornata tipo raccontata da uno dei lavoratori.
Ma nonostante l'alzata di voce degli operai, la Foxconn aveva cercato in un primo momento di risolvere la questione imboccando una scorciatoia quando il proprietario della compagnia Terry Gou aveva tentato di risollevare l'immagine della compagnia recandosi di persona nello stabilimento. Ma mentre Guo esprimeva il proprio rammarico per la perdita di vite umane e si mostrava intenzionato a mettere fine alla vicenda, alcuni dipendenti presentavano alla stampa una lettera preparata dal management, con la quale gli operai avrebbero dovuto sottoscrivere l'impegno a non suicidarsi, a sottoporsi a trattamento medico obbligatorio in caso di "comportamenti inusuali" e a limitare le richieste di risarcimento delle famiglie. Allo 'scivolone' sono seguite le scuse pubbliche di Guo che non sono bastate a impedire un nuovo caso di suicidio e nuovi scioperi, terminati solo a giugno quando la compagnia ha acconsentito a un aumento del 30% sugli stipendi dei lavoratori che avrebbero percepito così 1200 yuan al mese (questo articolo).
di Sonia Montrella
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