Roma, 04 mar. - Know-how italiano e sete di rinnovabili cinese: la sfida delle energie "verdi" vede impegnati sullo stesso fronte Cina e Italia. Ma quali sono le reali opportunità per le imprese di casa nostra? E quali gli ostacoli che queste dovranno affrontare per inserirsi nel settore "pulito" cinese? A dare una risposta e questi e altri interrogativi sarà l'Osservatorio Internazionale sull'Industria e la Finanza delle Rinnovabili (Oir) che ha organizzato un ciclo di quattro seminari - che prenderanno il via il 21 marzo a Milano presso il Palazzo delle Stelline - allo scopo di "dibattere concretamente col mondo imprenditoriale italiano le opportunità di business nei mercati emergenti di Brasile, Russia, India e Cina".
Il primo incontro dedicato alla Cina con il titolo "Fonti rinnovabili e mercato cinese: quali opportunità per le imprese italiane?" - promette di identificare problemi e possibili soluzioni legate all'attività delle aziende nostrane in Cina, Paese che ad oggi si classifica al primo posto per gli investimenti nelle rinnovabili. In occasione del seminario - che vanta come ospite d'onore Long Weiding, professore dell'Università di Tongji – verrà presentato il Report stilato dall'Oir sul mercato cinese delle rinnovabili. Uno strumento indispensabile a quanti vogliono tentare di ritagliarsi uno spazio nel Celeste Impero. A supportare l'iniziativa del presidente dell'Oir Andrea Gilardoni anche il Mandarin Capital Partners, Enel Green Power e il patrocinio della regione Lombardia.
Il rapporto parte da una premessa: "tra il 2007 e il 2010 la Cina ha investito nelle energie pulite oltre 150 miliardi di dollari. Solo nel 2009 sono stati installati 20 GW di nuova capacità rinnovabile, gran parte della quale proveniente dall'eolico e dall'idroelettrico". Ma quali sono i motivi di un così vivo interesse del Dragone verso le energie pulite? I massicci investimenti sono guidati soprattutto da "una crescente sensibilità verso le tematiche ambientali, dalla volontà del governo cinese di rendersi sempre più indipendente dai combustibili fossili e dalla consapevolezza di un mercato mondiale per le tecnologie verdi in tumultuosa crescita". A queste si aggiunge però una ragione più semplice e 'pratica': oltre ad essere il Paese che investe di più nelle energie pulite, la Cina è anche il Paese che 'sporca' di più al mondo. Secondo un rapporto diffuso lo scorso luglio dall'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), nel 2009 la Cina ha scalzato gli Stati Uniti dalla prima posizione che occupavano da più di un secolo. Le statistiche dell'IEA mostravano che l'anno precedente Pechino aveva divorato l'equivalente di 2.252 milioni di tonnellate di petrolio, il 4% in più degli Stati Uniti, che si sarebbero invece "limitati" a 2.170 milioni di tonnellate. L'unità di misura adoperata dall'agenzia internazionale comprende - oltre a quella ricavata dal greggio - ogni forma di energia, dal nucleare al carbone, dal gas naturale fino alle fonti rinnovabili come l'eolico. Nonostante il rapporto dell'IEA sia stato rifiutato da Pechino e bollato come inaffidabile, appare evidente che cercare una soluzione verde è diventata più che mai una necessità.
In cima alla preferenze del Gigante Asiatico si posiziona il settore idroelettrico, seguito subito dall'eolico e per ultimo dal solare. L'idroelettrico è già la principale tecnologia rinnovabile in Cina, e il governo ha deciso di sviluppare ulteriormente il settore. Si legge dal rapporto dell'Oir che "il Piano energetico prevede l'installazione di 20 GW l'anno di capacità idroelettrica, un valore corrispondente all'intero parco hydro italiano". Scommessa di Pechino anche sul vento: la National Development and Reform Commission (NDRC) ha dichiarato la sua intenzione di "convogliare nei prossimi 10 anni, 1/3 delle spese per l'energia alternativa nel settore eolico per potenziali 1.500 miliardi di dollari". Nettamente inferiori rispetto all'eolico, ma pur sempre considerevoli le spese destinate allo sviluppo del solare. "Entro il 2020 - fa sapere NDRC – la Cina potrà contare su circa 1,9 GW di capacità installata aggiuntiva". Finora quello del sole è sempre stato un "mercato finalizzato soprattutto all'export verso Europa e Stati Uniti". E' all'estero infatti che viene spedito il 95% della produzione di moduli e celle solari.
Dall'entrata nel WTO nel 2001, la Cina ha continuato ad attrarre sempre di più il mondo degli affari internazionale. Oggi il Paese rappresenta una delle più promettenti frontiere del business per le imprese italiane che operano nel rinnovabile. E la combinazione tra la professionalità delle aziende italiane; un know how del tutto made in Italy e tecnologie altamente sofisticate da una parte e gli incentivi agli investimenti promossi dal governo cinese; la forte domanda interna e la disponibilità di manodopera a basso costo dall'altra, rendono la cooperazione tra Italia Cina un connubio perfetto. In alcuni segmenti, come ad esempio i macchinari per la produzione di celle e moduli PV, il mini eolico, le micro turbine ed i sistemi di waste management, le imprese italiane potrebbero sviluppare collaborazioni importanti, almeno potenzialmente, perché sul fronte pratico emergono, sempre secondo il rapporto dell'Oir, alcuni punti deboli, quali una conoscenza ancora scarsa del mercato delle rinnovabili, un supporto del sistema politico ancora debole, un inadeguato networking tra le imprese, insufficiente massa critica di molte imprese e una non adeguata penetrazione del sistema bancario in Cina. Problemi, questi, cui Oir e le aziende italiane cercheranno di trovare una soluzione tra qualche giorno a Milano.
di Sonia Montrella
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