Pechino, 18 lug.- "Un pragmatico trucco senza scrupoli": così il People's Daily ha commentato l'incontro informale tra il presidente americano Barack Obama e il Dalai Lama avvenuto alla fine della settimana scorsa, aggiungendo, a rincarare la dose, come la mossa abbia minato lo status di grande potenza mondiale degli Stati Uniti. "L'incontro di Obama con un esiliato politico, che sotto le finte spoglie di guida spirituale porta avanti attività separatiste, è una chiara ingerenza negli affari interni del nostro Paese". "Rispetto delle norme di base delle relazioni internazionali" oltre che una salvaguardia dei propri interessi, sono questi i motivi – riferisce ancora il People's Daily - che spingono il governo cinese a contrastare insistentemente ogni dialogo tra il presidente americano e il leader religioso tibetano. "La liberazione pacifica e le riforme democratiche del Tibet sono state un evento storico di massima importanza paragonabile alla liberazione degli schiavi d'America e all'abolizione della schiavitù in Europa" si legge sul quotidiano di punta del Partito Comunista Cinese che non ha esitato a mettere in dubbio la reale conoscenza dei fatti, nonché la moralità dei media e dei funzionari americani. "Ingannati da quel sorriso affascinante e dal titolo di premio Nobel chiudono gli occhi davanti alla realtà dei fatti: chi conosce la storia sa bene che al tempo in cui il Tibet era governato dal Dalai Lama vigeva un sistema feudale servile, abolito soltanto nel 1950 in seguito all'arrivo dell'esercito della Cina popolare."
E allo sdegno della stampa si sono aggiunte le dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri cinese Ma Zhaoxu, il quale ha affermato che la decisione di Obama di ricevere alla Casa Bianca il leader spirituale tibetano "è stato un atto di scandalosa interferenza negli affari interni della Cina, che ha offeso i sentimenti del popolo cinese, danneggiato le relazioni sino-americane e che non di meno cela un tacito supporto alle forze separatiste anticinesi".
Dal canto suo il presidente americano, dopo aver suscitato l'ira di Pechino ha cercato di gettare acqua sul fuoco, ribadendo come gli Stati Uniti non appoggino l'indipendenza del Tibet e considerino invece fondamentale mantenere buone relazioni diplomatiche con la Cina. Dichiarazioni che non sembrano aver fatto dimenticare il precedente sostegno mostrato da Obama nella difesa dei diritti umani dei tibetani e delle tradizioni culturali, linguistiche e religiose della regione. La risposta del governo cinese è stata immediata e su più fronti. Secondo un comunicato apparso sul sito del ministero degli Affari Esteri cinese, mentre il viceministro Cui Tiankai, nelle prime ore di domenica mostrava ufficialmente il suo disappunto per l'accaduto l'ambasciatore cinese negli Stati Uniti Zhang Yesui presentava pubblicamente le proprie proteste.
Ma c'è anche chi tenta di ridurre la portata dell'accaduto come Min Xinpei, professore presso il Claremont McKenna College: "le critiche della leadership cinese sono ormai una consuetudine a ridosso delle visite del Dalai Lama alla Casa Bianca; ormai è quasi un questione di principio. Tuttavia i cinesi sono sufficientemente pragmatici da capire che si tratta soltanto di un incontro simbolico e pertanto non penso che adotteranno misure di rappresaglia". E a conferma delle parole del professore le attente osservazioni degli analisti che hanno messo in risalto come l'ultimo incontro tra Obama e la guida spirituale tibetana sia stato condotto su toni piuttosto informali; la scelta della location, la Camera delle Mappe piuttosto che il più prestigioso Uffico Ovale, ne è un chiaro segno.
di Alessandra Colarizi
©Riproduzione riservata