Pechino,12 mag.- Un uomo di 48 anni che entra in una scuola materna armato di una mannaia, uccide sette bambini e un'insegnante, ferisce altre venti persone, e poi torna a casa e si suicida: la disarmante sequenza dei fatti di oggi ad Hangzhong, nella provincia nordoccidentale dello Shaanxi è tutta qui, e già da sola basterebbe ad aprire numerosi quesiti sulla follia individuale. Ma quello di oggi è il quinto attacco a un asilo negli ultimi due mesi; ed ecco allora che le domande si moltiplicano, germogliano come erbacce, si inoltrano in quelle regioni oscure situate tra le patologie mentali del singolo e il rapporto tra individuo e collettività, ancora più impervie in una società complessa come quella cinese. Meglio allora enumerare i fatti, per non lasciarsi sopraffare completamente dall'orrore. Il primo caso risale al marzo scorso: un ex medico, reduce dalla fine di una relazione, fa irruzione in un asilo della provincia del Fujian, uccide otto bambini e ne ferisce altri cinque; viene giustiziato nel giro di un mese. Ad aprile si assiste a tre attacchi nel giro di tre giorni. Mercoledì 28: un ex professore trentatreenne, sollevato dall'incarico per problemi mentali, ferisce 15 studenti e un docente in una scuola elementare del Guangdong. Giovedì 29: un disoccupato della provincia del Jiangsu accoltella 29 studenti, due insegnanti e una guardia di sicurezza. Venerdì 30: a poche ore dalla cerimonia di apertura dell'Expo di Shanghai 2010, un contadino armato di martello fa irruzione in una scuola dello Shandong e ferisce cinque bambini, prima di cospargersi di benzina e darsi fuoco. Le autorità hanno aumentato la sorveglianza nei pressi delle scuole di tutta la nazione e Zhou Yongkang, ministro della Pubblica Sicurezza e uomo forte di Pechino, ha esortato i funzionari del Partito a mantenersi in contatto continuo con le comunità locali, per "conoscerne le opinioni e dare una risposta alle lamentele dei cittadini". Tra i discorsi della gente e i commenti su internet – peraltro sottoposti al controllo del governo, com'è noto- sembra di cogliere un tono spaurito: i responsabili degli attacchi non facevano parte di nessuna delle minoranze che hanno innescato gli scontri etnici degli ultimi anni nelle province dello Xinjiang o del Tibet, e solo alcuni tra di loro si trovavano in ristrettezze economiche. Il pericolo, insomma, stavolta sembra difficile da inquadrare nelle categorie che l'opinione pubblica ha già inquadrato e digerito. Alcuni opinionisti, figura che non manca neanche in Cina, hanno già iniziato a parlare di "effetto emulazione" e a chiedere un ulteriore filtro sulle notizie diffuse dai media. Forse, allora, l'unica cosa da fare è tentare di mettere in fila altri dati: secondo uno studio ufficiale dell'anno scorso sono almeno 173 milioni gli adulti cinesi afflitti da qualche forma di disturbo mentale; di questi, il 91% non ha mai ricevuto alcun aiuto di tipo professionale. I dati diffusi a marzo dall'Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino mostrano che in Cina le campagne e le città non sono mai state così distanti: nel 2009 il reddito medio di un residente urbano si è attestato a quota 17.175 yuan (circa 1800 euro) contro i 5153 yuan percepiti da un abitante delle zone rurali, un rapporto di 3.33 ad 1 che segna la più ampia disparità mai registrata dal 1978, l'anno in cui vennero varate le prime riforme economiche. 16 morti e più di una settantina di feriti, per la maggior parte bambini: l'unico dato certo di tutta la vicenda rimane il bilancio delle vittime.