Pechino, 3 mag.- Per gli europei Fiji, Isole Tonga e Samoa sono solo nomi lontani che evocano spiagge da sogno, ma per l'Australia si tratta di arcipelaghi relativamente vicini che fanno parte della sfera d'influenza del paese dei canguri. Almeno finora.
Il Lowy Institute for International Policy, il più importante think-tank australiano, ha pubblicato recentemente un interessante dossier dal titolo "China in the Pacific: the new banker in town". Mary Fifita e Fergus Hanson, i due autori del rapporto, descrivono l'enorme peso che il Dragone ha ormai acquistato nel Pacifico grazie a un programma di sostegno agli stati più piccoli - ad esempio attraverso prestiti senza interessi per i primi cinque anni - che tra il 2009 e il 2010 è diventato di importanza fondamentale per molti governi della regione.
"Anche se in generale le procedure della cooperazione cinese in diverse aree del mondo sono diventate più trasparenti, Pechino rifiuta ancora di fornire dati ufficiali e dettagliati sul suo programma di aiuti - si legge nel dossier- e in assenza delle statistiche del governo cinese ci siamo basati su quelle fornite dai governi interessati". Che cosa mostrano i dati forniti dai micro-stati del Pacifico, peraltro non sempre disposti a fornire agli australiani un quadro completo della situazione? Secondo i calcoli del Lowy Institute nel 2009 il Dragone ha fornito all'area Pacifico aiuti per 26.67 milioni di dollari e soft loans (senza interessi per cinque anni) per ben 183.15 milioni di dollari. Le statistiche del 2009 sono simili a quelle del 2008 e indicano, sempre secondo il dossier, un trend in continua crescita almeno dal 2005. Le ragioni della crescente presenza cinese sono diverse: molti di questi paesi si sono sempre divisi tra il riconoscimento di Taiwan e quello della Cina continentale, ma anche se i recenti sviluppi nelle relazioni Pechino-Taipei lasciano intravedere prospettive più concilianti rispetto agli anni del muro contro muro, è evidente che un Dragone che studia da superpotenza - seppure con "caratteristiche cinesi - non può perdere nessuna occasione per stringere rapporti con quanti più stati possibili, per quanto minuscoli. Nel Pacifico, inoltre, la Cina non fornisce sostegni indiscriminati, ma offre aiuto solamente a 8 dei 14 stati della zona, piazzandosi comunque terza dopo Australia e Stati Uniti.
Il risultato è che alcune delle "spiagge da sogno" fanno affidamento sulla Cina per fette importanti del loro PIL: è il caso, ad esempio, delle Isole Tonga, il cui Prodotto Interno Lordo è costituito per il 32% dagli aiuti cinesi (100.4 milioni di dollari nel 2009), ma anche di Isole Cook e Samoa, che si basano sugli aiuti cinesi per il 16% della loro economia. "Dalle nostre indagini emerge che alcune nazioni nutrono aspettative in merito a un annullamento del debito, ma in almeno due occasioni la Cina non ha acconsentito – si legge nel dossier- ,la Cina ha fornito al Pacifico dal 2005 ad oggi prestiti per 600 milioni di dollari, e il carico dei debiti diventerà sempre più pesante man mano che i prestiti si accumuleranno e con la scadenza dei cinque anni senza interessi". Quante delle "isole del sogno" sarebbero in grado di onorare i conti se fossero loro presentati?
I ricercatori del Lowy Institute individuano diversi aspetti, positivi e negativi, del crescente dinamismo di Pechino nella regione: da un miglioramento delle infrastrutture in tutta la regione al rischio di strangolamento con i debiti contratti per i paesi meno accorti, di sicuro le mosse del Dragone non sono mai insignificanti. A tratti, dal rapporto emerge un certo timore australiano per la perdita di influenza sulla regione.
Ma se in tempi in cui la stessa Eurozona affronta serie difficoltà l'idea di una "bancarotta delle Isole Tonga" non può che suscitare un sorriso, l'ascesa del nuovo "banchiere del Pacifico" strappa invece ammirazione. Perché è un "modello Cina"(questo dossier) che si sta dimostrando efficace su quadranti molto più importanti.
di Antonio Talia
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