Milano, 25 ott.- Annunci ufficiali, dichiarazioni programmatiche e frequenti riferimenti alla costruzione di una "società armoniosa": questi e altri indizi suggeriscono che una delle sfide più impegnative che Pechino si trova a fronteggiare attualmente è quella di come gestire gli elevati livelli di disuguaglianza che si registrano nel paese. Nel rapporto 2010 dell'OCSE sull'economia cinese emerge che l'indice di Gini (una misura di disparità reddituale compresa tra 0 e 100, dove 0 indica perfetta equità) ha superato la soglia dei 40 punti, sopravanzando gli Stati Uniti, tradizionalmente considerati il tempio del libero mercato e dell'individualismo, e gli altri paesi avanzati, compresi i vicini Giappone e Corea del Sud. E' pur vero che il Dragone è decisamente lontano dai livelli di altre economie in via di sviluppo (come il Brasile e il Sud Africa), dove l'indice di Gini sfiora o supera quota 60, e che il rapporto dell'OCSE rileva anche una leggera diminuzione della disuguaglianza a partire dalla metà degli anni 2000. Ma questo non significa che il problema non sussista. Il dato più spesso citato, perché molto eloquente, è quello relativo al divario tra redditi dei lavoratori nelle città e nelle campagne: i primi guadagnano in media tra due e tre volte in più rispetto ai secondi. Considerando che si tratta di un confronto tra valori medi, si intuisce quanto accentuate possano essere le disparità tra le singole realtà regionali.
Ma quali possono essere gli effetti di livelli elevati di disuguaglianza sulla crescita del paese? Tra le possibili conseguenze individuate dalla teoria economica, tre sembrano particolarmente rilevanti nel caso cinese. Innanzitutto, a parità di reddito aggregato, una distribuzione più ineguale tende ad incrementare l'ammontare complessivo dei risparmi (poiché, in genere, il tasso di risparmio di ciascun individuo aumenta al crescere del reddito disponibile). Questo risultato può essere in linea generale auspicabile (il risparmio, traducendosi in investimento, stimola lo sviluppo) e la Cina stessa ne è la prova. Tuttavia, molti osservatori concordano sulla necessità che il Dragone sposti il baricentro della propria economia dai mercati esteri verso l'interno e questo dovrà inevitabilmente passare tramite non un aumento, bensì una riduzione dei risparmi, in modo da rilanciare il consumo domestico.
In secondo luogo, una distribuzione ineguale del reddito ha effetti tendenzialmente negativi sul processo di accumulazione del cosiddetto capitale umano, ossia l'insieme di conoscenze e competenze acquisite lungo il percorso educativo. Intuitivamente, al crescere della disuguaglianza, aumentano anche le differenze tra gli investimenti individuali in istruzione, il che porta la maggioranza della popolazione a ricevere una formazione povera rispetto ai pochi fortunati dotati di ampi mezzi. Data la centralità del capitale umano della forza lavoro nel promuovere la crescita, la dinamica economica ne dovrebbe risultare penalizzata, predizione che è ampiamente confermata dai dati empirici.
Infine, forti squilibri economici possono portare a un inasprimento delle tensioni sociali e allo scoppio di veri e propri conflitti, con ovvie ripercussioni negative sullo sviluppo, come esemplificato dalla storia di molti paesi dell'America Latina. Non a caso alcuni osservatori hanno coniato il termine "latinoamericanizzazione" per indicare il rischio che lo scontro tra diversi gruppi di interesse in Cina conduca a una situazione di difficile governabilità. Indubbiamente fatti di cronaca recente quali l'ondata estiva di scioperi e i ripetuti suicidi registrati alla Foxconn segnalano una crescente instabilità sociale.
In sostanza, vi sono diverse ragioni per cui, anche sul piano prettamente economico, una ripartizione nettamente ineguale del reddito non sia da considerarsi desiderabile. I leader di Pechino sembrano aver preso coscienza del problema e hanno iniziato a preoccuparsi non soltanto dell'ampliamento della torta, ma anche del modo in cui questa viene suddivisa. Ad esempio, con il Decimo Piano quinquennale (2001-2005) il governo ha significativamente alleggerito la pressione fiscale nelle zone rurali e ha varato il Western Development Plan allo scopo di ridurre il gap tra le province costiere e quelle occidentali più arretrate. Tuttavia, come evidenzia il già citato rapporto dell'OCSE sull'economia cinese, la maggior parte delle risorse sono state investite in progetti infrastrutturali, mentre minore attenzione è stata prestata alla dimensione del welfare e, in particolare, all'elemento centrale dell'istruzione. O ancora il piano di sussidi a sostegno degli indigenti (avviato a Shanghai già negli anni '90 e poi esteso a molte altre città) ha conosciuto una rapida diffusione, ma si è spesso dimostrato incapace di inquadrare correttamente la fascia reddituale di riferimento.
Nonostante queste criticità, la portata di simili interventi non va sottovalutata e la maggiore consapevolezza del governo sul tema rappresenta di per sé un primo passo importante. La strada verso la "società armoniosa" si prospetta però ancora lunga.
di Giovanni Compiani
Giovanni Compiani, laureato in Economia e Scienze Sociali presso l'Università Bocconi dove da agosto 2010 è iscritto al Corso di Laurea Specialistica in Inglese in Economics and Social Sciences. Da agosto a dicembre 2009 è stato studente in scambio presso la Harvard University e dal 28 giugno al 9 luglio 2010 ha seguito la quarta edizione della Summer School TOCHINA a Torino. Questo articolo è un commento dell'autore alla sua tesi di laurea "Sviluppo economico e globalizzazione: quale impatto sulla democrazia? Rassegna della letteratura e analisi del caso cinese"
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