Roma, 18 giu.- Il suono delle vuvuzele viene dalla Cina. Il 90 per cento delle criticatissime trombette monotono che fanno da 'colonna sonora' ai mondiali del Sud Africa, è made in China e, a dispetto delle critiche sollevate da tifosi, giocatori e cronisti di tutto il mondo, sembra proprio che nessuno riesca a resistere alla tentazione di comprarne almeno una, mandando alle stelle i profitti degli stabilimenti cinesi. La sola Jinying plastic product corp., con sede nello Zhenjiang, ha venduto più di un milione di vuvuzela nei primi quattro mesi dell'anno a un prezzo all'ingrosso di due yuan (20 centesimi) al pezzo. "Gli ordini continuano a salire" spiega Wu Yijun, general manager dell'azienda. "Prevediamo di produrre dalle 300mila alle 500mila trombette prima della fine del campionato" continua Wu. "La febbre da mondiali sta trainando le vendite e secondo le nostre previsioni gli incassi dovrebbero superare del 100% quelli registrati lo scorso anno". Incassi che provengono, spiega il general manager, non solo dalla domanda esterna, ma anche da quella interna: "A partire dal mese di maggio abbiamo ricevuto più di 150mila ordini domestici. Prima di allora tutte la nostra produzione era destinata all'esportazione". Un acquisto che in realtà non è così semplice come potrebbe sembrare: l'azienda produce 37 tipi di vuvuzela che lasciano il cliente nel completo imbarazzo della scelta.
Secondo Huicong Plastic, sito web cinese che fornisce informazioni sulle industrie plastiche, la fabbrica di giocattoli Chenghai avrebbe già prodotto diverse migliaia di trombe e "per tenere testa alla domanda, gli straordinari sono diventati routine" spiega il portavoce dell'azienda. E mentre la BBC, la tv portoghese "Meo" e la francese Canal+ si sono già dotate di un filtro a due emissioni (una con il suono originale e l'altra senza) per offrire ai telespettatori una telecronaca senza il fastidioso suono, i dirigenti della Chenghai, sperando in una sorta di dipendenza da vuvuzela, si augurano che "a campionato concluso, il Sud Africa e il resto del mondo abbia ancora bisogno di questi strumenti". A disilludere la Chenghai è intervenuto Jiao Chen del Centro di economia e diplomazia della Qinghua University, secondo cui la popolarità che le vuvuzele stanno regalando al Made in China è destinata a scomparire in quanto "questi prodotti non hanno un marchio di fabbrica che li sponsorizzi e non c'è proprietà intellettuale". "L'unico vantaggio che garantiscono è un grosso e momentaneo guadagno" continua Jiao. Un profitto che, secondo il National Business Daily, si attesta attorno al 5% su ogni pezzo.
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