Chengdu, 23 apr. - La delusione nei confronti del Maestro di tai chi chuan della mia nuova palestra, di cui scriverò in una prossima lettera, mi spinge a cercare il mio guru di arti marziali nel posto appropriato: il parchetto pubblico più vicino a casa.
Al parchetto pubblico le attività ludico sportive si svolgono per lo più attorno alle sei del mattino.
Se ti presenti alle sette i giochi sono fatti; una volta sciolti i gruppi di allenamento, gli anziani lasciano spazio a giovani tiratardi che si allenano all'americana, correndo attorno al parco.
Sono le 5 e 57 del mattino e mi presento all'entrata del parchetto.
Come supponevo, le attività brulicano. La strada principale, che dal cancello conduce alla pagodina di pietra nel centro del parco, è percorsa da decine di avventori. Stanno camminando all'indietro; alcuni accennano persino ad una corsetta. Questa disciplina riporta l'equilibrio tra i flussi energetici yin e yang all'interno dell'organismo e dissoda i glutei.
Mi sento un po' in imbarazzo per via della mia attrezzatura da ginnasta professionale. Scarpe, praticamente a levitazione magnetica. Tuta originale della squadra olimpica svedese. Biancheria intima Nasa, magliettina della salute da alpino sul K2. Microfibre, polcotton, wintex, antimicrobial.
Gli altri parchigiani sono vestiti da tempo libero: jeans, giacche a vento, berretti e sciarpe, qualcuno è in pigiama e mocassino . Polietilene, pelle polimerica, lana grezza, gomma.
Sento gli occhi puntati su di me, leggo aspettativa.
Sgranchisco il collo come un pugile nervoso e mi metto al piccolo trotto, direzione pagodino.
Qui mi fermo per fare stretching. Una donna pratica eleganti figure di tai chi chuan con spada e due giovani danzatori, due tangueros, le volteggiano attorno. E' una coreografia degna del miglior Sergio Japino. Per un attimo mi sembra di vedere Raffaella Carrà che esce dal pagodino e fa la mossa dello svenimento (i più giovani sbobinino le teche RAI perché merita).
Spengo la TV e noto una staccionata di ferro sulla quale alcuni atleti stanno facendo esercizi di allungamento. In realtà si tratta di un gruppo di ottuagenarie che alzano la gamba a 170 gradi.
Leggermente turbato, mi sposto di qualche metro.
Mi fermo un attimo ad osservare due donne che stanno praticando una disciplina a me ignota. Sistemate vicino a due alti pioppi, battono i palmi delle mani sul tronco. Una di loro sospende lo schiaffeggio e prende a girare attorno alla pianta con aria da posseduta. Mi vien da pensare al sacro albero dei Na'vi, in Avatar
Proseguo, alla ricerca del mio guru.
Raggiungo una piccola porzione di parco cinta da siepi, dove alcuni studenti ripetono la lezione ad alta voce e un gruppo di uomini fa stretching. Una coppia di atleti ha scelto questo angusto spazio per esercitarsi al badminton. Devono continuamente recuperare il volano tra le gambe degli studenti. L'amore per lo sport ben si concilia con la passione cinese per gli spazi affollati.
Superata la siepe, trovo finalmente il primo gruppo di praticanti di tai chi. Sono disposti in largo cerchio attorno al prato principale del parchetto.
Mi dispongo tra due anziane che mi guardano senza espressione. Ricambio. Saluto. Non rispondono.
Stanno facendo esercizi preparatori. Sembra il Gioca Jouer. Salutare, spray, campana, autostop... Ci sono mosse non previste neppure da Cecchetto: remare, sborsare, spinta, mandare al diavolo ed altri ancora.
Superman!
Non capisco chi guida, all'interno del gruppo. Cerco di seguire le due vecchiette vicine, ma è sempre più difficile.
Finalmente chiedo alla più giovane, quella senza gobba, se può aiutarmi.
Paziente ma dura, come ti aspetti da un maestro orientale, mi corregge posture e movimenti. Mi sento come un multi fratturato alla prima sessione di fisioterapia. Le giunture emettono rumori preoccupanti, i muscoli sono tirati fino allo strappo, il viso solcato da smorfie di paurosa fatica. Non basta ripetere a me stesso che non fa male: non riesco a imitare correttamente le figure delle anziane.
Decido comunque che neppure la settantenne ha il physic du role per diventare il mio prossimo guru di arti marziali. Fingo l'acutizzarsi di un dolore pregresso al ginocchio e mi allontano senz'altro, farfugliando qualcosa alla maestra.
Zoppico finché sono sicuro di essere oltre il campo visivo delle miopi anziane, supero una casetta per gli attrezzi e lo vedo: il mio futuro maestro di tai chi. Sta compiendo figure elegantissime, mima calci al rallentatore, traccia cerchi con le braccia e respira profondamente.
Cinquant'anni circa, magrolino e dignitoso, l'espressione austera di chi è in aria di illuminazione.
Mi avvicino, si ferma. Prende la sua borraccia del tè e scappa. Un altro cerbiattuomo da addomesticare?
Lo seguo a distanza per tutto il parco, senza farmi notare. Ripassiamo per il grande cerchio delle anziane, l'aula del badminton e il pagodino dei tanghero armati.
Imbocco la strada d'ingresso, deciso a tornare a casa con le pive nel sacco, quando noto un uomo chino in avanti, che con un lungo pennello sta disegnando sul pavimento.
Mi avvicino per guardare meglio: sta scrivendo. L'uomo pratica l'antica arte della calligrafia, usa l'acqua a mo' di inchiostro.
La scrittura è sicura, veloce, i caratteri netti e continui, non stacca quasi mai il pennello dal pavimento. Scrive una poesia, credo. In colonne, dall'altro in basso e da destra a sinistra.
Finita la prima strofa, il primo carattere in alto a destra inizia a scomparire, l'acqua sta evaporando.
Il vecchio calligrafo osserva per un attimo la sua composizione, poi si sposta e inizia la seconda strofa. Gli chiedo se può leggere quanto ha scritto.
Finisce di scrivere la seconda strofa e poi legge. Non capisco nulla, però sono rapito dalla recitazione. Gli chiedo il perché dell'acqua, temendo che sia solo una questione di decoro pubblico. Mi stupisce parlandomi dell'effimerità del bello. O almeno credo. Mi dice: "guardo, mi piace? non c'è già più: sì, mi piaceva". Vuole dirmi di più, ma lo perdo, credo stia parlando dell'oggettività dell'arte. Mi prende per la giacca e mi strattona verso il lato opposto della strofa, ma da qui non si può leggere nulla. La luce che arriva da sud-est fa sì che i caratteri siano leggibili solo da due lati.
Credo mi stia spiegando in questo modo che il bello è soggettivo in quanto dipende dalla persona che guarda, ma la soggettività non sta solo nella testa dell'osservatore, ma anche nella sua posizione oggettiva, cioè nella sua collocazione ambientale e quindi culturale.
O forse vuole solo che mi tolga di mezzo, che stavo in piedi in mezzo alla terza strofa? E' più verosimile.
Me ne vado sorridendo. Oggi non ho trovato il mio guru di tai chi, ma in compenso un calligrafo mi ha dato una lezione di estetica.
Le due anziane praticanti di tai chi, improvvisamente apparse di fronte a me, mi ghiacciano il sorriso sul volto: osservano la mia camminata sicura. Hanno l'espressione di chi ti sta per chiedere: "Perché non claudichi?"
Il sorriso si è fatto maschera grottesca di simulato dolore, mi rimetto a zoppicare, emetto un paio di gemiti come chi ha avuto un'improvvisa ricaduta ed esco senza guardarmi indietro.
di Gianluca Morgese
Gianluca Morgese. Imprenditore a basso budget di Provincia Italiana che si trova a vivere nella Provincia Cinese all'inseguimento di lavori di nicchia. Settori che nessun business man solido si prenderebbe la briga di coprire, in luoghi spesso lontani dai bagliori di Shanghai e le suggestioni di Pechino. Durante una cena con altri 95 commensali ha un'esperienza gastro-mistica: un occhio, forse suino, lo sta fissando dal suo cucchiaio da zuppa. Da qui la decisione di raccontarvi, senza pretese di verità ma con imparzialità fotografica, ciò che vede della sua amata Cina, durante i suoi viaggi e la sua vita di provincia.
La rubrica "Lettere dalla Cina" ospita gli interventi di giovani italiani che vivono e lavorano in Cina, offrendo spunti di vita quotidiana e riflessioni originali. Andrea Bernardi, Corrado Gotti Tedeschi, Elisa Ferrero e Gianluca Morgese.