Brusca frenata per le riserve valutarie cinesi
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Brusca frenata per le riserve valutarie cinesi

Brusca frenata per le riserve valutarie cinesi

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Alessandro Merli
Brusca frenata dell'aumento delle riserve valutarie della Cina. Nel primo trimestre di quest'anno le riserve cinesi sono cresciute di soli 7,7 miliardi di dollari contro un incremento da primato di 153,9 miliardi di dollari nello stesso periodo del 2008 e un record di 417,8 miliardi nell'intero anno passato. L'aumento nel trimestre che si è appena concluso è il più modesto da otto anni a questa parte e riflette una riduzione del surplus commerciale, ma soprattutto minori investimenti esteri verso la Cina e deflussi di capitale dalla Cina stessa, in particolare verso Hong Kong.
Nei mesi di gennaio e febbraio le riserve sono addirittura calate, rispettivamente della cifra record di 32,6 miliardi di dollari e di 1,4 miliardi di dollari, secondo statistiche della Banca centrale. A marzo si è registrato invece un aumento di 41,7 miliardi. L'inversione del mese scorso potrebbe indicare un ritorno della fiducia nelle prospettive dell'economia cinese (vedi articolo a fianco) e quindi un rallentamento dei deflussi di capitale. Per il 2009 nel suo complesso, economisti di mercato prevedono un aumento delle riserve cinesi di 100 miliardi di dollari circa.
Il brusco ridimensionamento nella crescita delle riserve solleva qualche incognita sul ruolo della Cina come primo investitore in titoli di Stato americani e sull'interdipendenza finanziaria fra le due potenze. A partire dall'inizio del decennio, Pechino ha utilizzato i suoi crescenti surplus commerciali e gli imponenti flussi di investimenti dall'estero per incrementare le riserve: la Banca centrale ha continuamente acquistato dollari per impedire al cambio dello yuan di rivalutarsi e continuare così un modello di sviluppo basato sulla crescita dell'export.
Il mese scorso, il primo ministro cinese Wen Jiabao aveva espresso preoccupazione sulla solidità degli ingenti investimenti di Pechino in Treasuries. «Abbiamo prestato un'enorme somma di denaro agli Stati Uniti – aveva detto Wen – e siamo preoccupati della sicurezza delle nostre attività». Si era detto allora che le dichiarazioni di Wen, a pochi giorni di distanza dal vertice del G-20, mettevano in luce la dipendenza degli Usa da eventuali cambiamenti di atteggiamento del principale investitore in titoli del debito Usa. Tuttavia, l'uscita del premier cinese sottolineava anche il disagio di Pechino per aver legato una parte così consistente delle proprie riserve (si parla dei due terzi circa di un totale di 2mila miliardi di dollari) ad attività finanziarie, come i Treasuries, dipendenti dalla politica economica di Washington e suscettibili di essere destabilizzate dalle misure adottate dall'amministrazione Obama.
Nel frattempo, sono emersi i primi segnali di riduzione del disavanzo esterno degli Usa, sia a causa della recessione economica sia dell'aumento del tasso di risparmio e della contrazione dei consumi degli americani. Questo dovrebbe contribuire a ridurre la dipendenza Usa dai capitali cinesi.
alessandro.merli@ilsole24ore.com
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14/04/2009
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