Roma, 26 mag. - Ricchi giacimenti di carbone, gas, terre rare, e il più alto PIL pro capite di tutta la Cina: la Mongolia Interna, regione autonoma della Repubblica Popolare, oltre ad attrarre ingenti investimenti nel settore energetico, sta subendo un processo di urbanizzazione senza precedenti che rischia di trasformarsi in una colossale bolla speculativa con un'esplosione di crediti in sofferenza, specialmente per quanto riguarda gli investimenti del governo locale. Come si legge in reportage della France Press, Kangbashi, la nuova zona della città di Ordos ai confini con il deserto del Gobi, è stata progettata per accogliere circa 300mila persone, ma a sette anni dal suo completamento ciò che si vede è una distesa di nuovi appartamenti, strade, parcheggi e ristoranti tutti rigorosamente vuoti. La stessa sorte è toccata alla "città ecosostenibile" a nord di Tianjin e al nuovo distretto nei pressi di Kunming. Secondo la popolazione locale, meno di un decimo degli abitanti previsti vive a Kangbashi, smentendo i numeri degli agenti immobiliari, che riferiscono di 200mila persone già insediate nelle recenti costruzioni e che ne prevedono più del doppio per l'anno prossimo.
"Il governo ha qualche idea per riempire queste città o sono solo delle cattedrali nel deserto per sprecare fondi pubblici?" si chiede Rupert Hoogewerf, fondatore e redattore di Hurun Rich List. Nonostante le numerose misure adottate da Pechino per scongiurare il rischio surriscaldamento, rimane il pericolo di una bolla speculativa, che trae le sue origini nella stagione 2009-2010, quando le banche, dietro impulso del governo, concessero alle Local Investment Companies (LIC) – veicoli finanziari controllati dalle amministrazioni locali – prestiti per circa 1850 miliardi di euro, la maggior parte dei quali investiti in progetti edilizi.
Secondo l'economista di Bank of America-Merrill Lynch, Lu Ting, Kangbashi doveva servire a far restare nella Mongolia Interna i capitali dei facoltosi investitori minerari, spingendoli ad optare per l'acquisto dei nuovi immobili piuttosto che far dirigere le loro scelte verso Pechino o Shanghai. Nonostante l'alto numero di appartamenti invenduti, Lu afferma che "il rischio di una crisi finanziaria era minimo", grazie ai bassi livelli di debito e gli alti profitti derivanti dall'estrazione del carbone, il motore dell'economia locale. Solo nel 2010, infatti, questa ha registrato un'espansione del 19,2%, quasi il doppio del tasso di crescita nazionale.
Ma a qual è il prezzo da pagare per questo formidabile sviluppo?
I primi a farne le spese sono residenti locali che, per far posto alla moderna zona residenziale di Kangbashi, sono stati costretti ad abbandonare le proprie case ricevendo un compenso di 30mila euro e la promessa di due nuovi appartamenti non appena saranno ultimati i lavori.
La migrazione massiccia che si registra nella Regione Autonoma della Mongolia Interna da parte dei cinesi di etnia Han è un fenomeno a cui i mongoli assistono da decenni: attualmente questi ultimi costituiscono appena il 20% della popolazione. Sebbene la provincia goda formalmente di un alto grado di autonomia, tuttavia essa rappresenta un altro caso di insofferenza della comunità locale verso i cinesi Han, ripetutamente accusati di non rispettare i diritti delle minoranze etniche.
L'ultimo caso eclatante, che ha risvegliato il malcontento della comunità locale, riguarda l'uccisione rimasta impunita di un contadino mongolo da parte di un trasportatore cinese di carbone. Il Southern Mongolian Human Rights Information Centre con sede a New York ha riferito di una protesta di duemila studenti davanti al palazzo governativo della città di Xilinhot per "chiedere con forza alle autorità cinesi di rispettare i diritti e la dignità dei contadini mongoli" nella Mongolia Interna. Così, mentre il governo locale tace, Pechino pubblica sul sito web istituzionale la notizia dell'arresto di due cinesi Han colpevoli dell'omicidio.
Sebbene non si parli spesso del clima irrequieto che attraversa la Mongolia Interna, qui le agitazioni della comunità locale sulla questione dei diritti umani non sono meno frequenti che in Tibet o nel Xinjiang, mentre Pechino conferma la linea dura.
di Anna Rita De Gaetano
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