MICROCREDITO, IL CASO CINESE

Shanghai, 21 gen. - L'età dell'oro del microcredito, da un ventennio al centro del dibattito sulla cooperazione internazionale, celebrato dal gotha della politica mondiale come alternativa alla finanza tradizionale e divenuto punta di diamante nella campagna delle Nazioni Unite per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, sta volgendo al termine o si tratta piuttosto di una crisi fisiologica, destinata a risolversi?
L'interrogativo è lecito, specie se si presta fede alle notizie provenienti dal Bangladesh e dall'India. I tentativi di discredito ai danni di Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace 2006 e fondatore della Grameen Bank - la prima banca per il microcredito al mondo -, non sono una novità. Di recente, però, i toni si sono fatti più accesi, così come le critiche che mettono in dubbio la reale efficacia della microfinanza nel dare nuove prospettive di vita e sussistenza a quello strato di popolazione che vive "at the bottom of the pyramid".
A minare ulteriormente la figura del banchiere dei poveri, ci ha pensato un documentario realizzato dalla televisione norvegese, dall'eloquente titolo "Intrappolato nel microdebito". Il video, andato in onda a novembre sulla tv di stato del paese scandinavo, riporta alla luce un episodio risalente al 2007. A quel tempo Yunus ottenne una donazione di 45 milioni di euro da Norad, l'agenzia per gli aiuti internazionali norvegese, che avrebbe girato, senza previa autorizzazione dei donatori, a Grameen Kalyan, società a scopo di lucro estranea al microcredito ma facente capo allo stesso Yunus. Un brutto colpo alla credibilità dell'ideatore del microcredito, che ha reagito sostenendo che l'operazione si era resa necessaria a fini fiscali e che la nuova entità aveva lo scopo di creare un fondo per agevolare le operazioni della banca. Sull'onda delle polemiche seguite al documentario (che dovrebbe essere diffuso in inglese nei primi mesi del 2011), vecchi rancori sono tornati a galla e l'attuale Primo Ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha colto la palla al balzo per dichiarare il microcredito "una sanguisuga che impoverisce la popolazione", e ha creato un comitato investigativo con lo scopo di produrre un report delle attività di Grameen e delle sue numerose consorelle nei prossimi mesi .
Volontà di eliminare una figura ormai divenuta ingombrante sulla scena politica del travagliato paese asiatico o atto dovuto, visto che il governo detiene il 6% della banca e, secondo alcuni, punterebbe ad aumentare la propria quota? Difficile dirlo. Per il momento Yunus è apparso martedì scorso davanti al tribunale per rispondere dell'accusa di diffamazione, in seguito a commenti negativi su alcuni politici risalenti a un'intervista rilasciata nel 2007, ed è stato rilasciato su cauzione.
Tralasciando le vicende interne del Bangladesh, le notizie provenienti dal resto del mondo non sono certo incoraggianti. Ai tanti casi di successo della microfinanza, se ne sono, per evidenza anedottica, aggiunti molti altri che riportano di esternalità negative, spesso sottovalutate. In alcuni contesti, il sistema sembra infatti essersi avvitato su se stesso, producendo risultati negativi. Pensiamo all'India, secondo paese dopo il Bangladesh per numero di clienti del microcredito. In alcune parti del subcontinente, la microfinanza è divenuta un business lucrativo, attirando l'attenzione del settore privato e le antipatie dei governi locali. Alle entità no profit si sono con il tempo affiancate numerose imprese for profit che chiedono prestiti alle banche e li ridistribuiscono. La mancanza di regolamentazioni chiare sulle attività di queste imprese, unita a una formazione di base limitata tra i clienti su come utilizzare in maniera efficace i prestiti ottenuti, hanno fatto il resto. Si è andato a creare in tal modo un clima da far west dove le numerose istituzioni si contendono il mercato dei poveri a suon di prestiti e metodi di riscossione coercitivi e dove i politici locali incitano i poveri a non ripianare i debiti, rischiando in tal modo di mettere sul lastrico il settore finanziario nazionale e obbligando a prendere misure restrittive nei confronti delle organizzazioni di microcredito, come avvenuto nell'Andhra Pradesh.
In questo clima di incertezza, quale lo stato di salute del microcredito nell'altro gigante asiatico?
La terra di mezzo è, a prima vista, un terreno ideale per il fiorire della microfinanza. Un ampio strato di popolazione rurale e urbana che vive al di sotto della soglia di povertà e con scarso accesso al credito, disponibilità di liquidi, volontà del governo di contribuire allo sviluppo delle zone svantaggiate. Gli elementi sembrerebbero esserci tutti. Eppure, benchè presenti nel paese fin dagli anni '90, i prodotti bancari non tradizionali, non riescono a decollare, o almeno non nella forma che si potrebbe immaginare.
L'atteggiamento di Pechino si è da sempre mostrato prudente nei confronti del microcredito. Considerato un utile mezzo per supportare l'opera di sviluppo delle zone rurali avviata a livello nazionale, il governo ha teso nello stesso tempo a tenere le redine ben salde. A partire dal 2006, alle società di microcredito è stato riconosciuto lo status legale, e nel 2008 la Commissione Regolatrice (CBRC), ha emanato una regolamentazione (Rule23) che nel tentativo di regolare le attività di queste imprese, ne limita di fatto la flessibilità, rendendone l'operatività spesso difficile.
Intendiamoci, la versione cinese del microcredito è particolare. Sotto questa etichetta si intende sia l'erogazione di piccole somme (intorno ai 1000 dollari), sia la concessione di crediti più importanti. Se nel primo caso le operazioni vengono demandate alle numerose Ong che costellano il territorio nazionale, e che vedono la loro azione limitata dal fatto di poter raccogliere fondi solo attraverso donazioni (che in seguito alle grandi disastri naturali prendono la via delle emergenze piuttosto che dell'aiuto allo sviluppo); nel caso di prestiti che possono andare dai 500mila al milione di dollari, esistono società di microcredito for profit, riconosciute dal governo. Queste imprese di microcredito vanno, con i loro finanziamenti, ad assistere quella fascia di clientela individuabile nelle piccole e medie imprese, che i grandi attori finanziari cinesi non riescono a raggiungere.
"Solo il 10% del totale dei prestiti elargiti da queste società per azioni possono essere definiti 'micro', il resto è rappresentato da somme più ingenti distribuite da queste agenzie di credito, spesso concentrate nelle zone a maggiore industrializzazione, e che non attendono altro che l'evolversi delle regolamentazioni nazionale per divenire veri e proprie credit companies" commenta Michele Geraci, co-autore del primo di una serie di rapporti sullo stato della microfinanza in Cina e di raccomandazioni per i governi locali, pubblicato dal Global Policy Institute della Metropolotan University di Londra.
A completare la lista degli attori del microcredito cinese sono le banche rurali e di villaggio, vere e proprie banche, con una forte diffusione sul territorio, ma con un orientamento verso i prestiti ad attività agricole. Questo quadro viene ulteriormente complicato dalla mancanza di personale adeguatamente formato sul campo e, secondo alcuni, troverebbe in variabili di ordine culturale un forte ostacolo alla diffusione. L'esistenza nella società cinese di un forte reticolo di connessioni parentali e amicali che assistono gli individui anche finanziariamente, metterebbe infatti, a parere di alcuni esperti cinesi, in dubbio la reale necessità di uno strumento come il microcredito.
Ma non tutto rema contro e tra gli elementi culturali, prettamente cinesi, che volgono a favore del microcredito in Cina vi è il concetto di "mianze" (faccia). In mancanza di un sistema di credito collettivo (come quello praticato in India o Bangladesh, dove le somme vengono distribuite tra gruppi di persone che esercitano un'opera di controllo e di moral suasion sugli individui) la paura di perdere la faccia si dimostra un deterrente efficace, che ha fino ad oggi garantito tassi di ritorno che si aggirano intorno al 98%.
In questo scenario, non resta che attendere la direzione che il governo di Pechino vorrà imprimere al microcredito. A tale proposito, fa ben sperare , una notizia che ha pochi giorni. Le onnipresenti Poste Cinesi, attraverso la Postal Saving Bank of China, e su suggerimento della Commissione Regolatrice, hanno iniziato ad erogare microcrediti in tutto il paese. I buoni risultati registrati fino ad ora, potrebbero fare da trampolino a nuovi e interessanti sviluppi della via cinese alla microfinanza.
di Nicoletta Ferro
Nicoletta Ferro, Senior Researcher, Fondazione Eni Enrico Mattei
© Riproduzione riservata