Roma, 30 giu. – Doccia gelata per i produttori cinesi di vuvuzele convinti, fino a qualche settimana fa, di aver trovato la loro personale miniera d'oro. Sebbene il 90 per cento di questi fastidiosi strumenti sia made in Cina, i profitti sono scarsi. Almeno per quanto riguarda le aziende produttrici. Secondo Huicong Plastic – sito web cinese che fornisce informazioni sulle industrie plastiche – le fabbriche di giocattoli di Chenghai avrebbe già prodotto diverse migliaia di trombe e "per tenere testa alla domanda, gli straordinari sono diventati routine" spiega il portavoce dell'azienda. Ma a dispetto dell'entità della domanda, i prezzi sono troppo bassi per assicurare ai produttori un guadagno ragionevole. A sostenerlo sono i manager di tre fabbriche di giocattoli della stessa zona, che hanno spiegato che il margine di profitto è estremamente basso. Ogni vuvuzela ha un prezzo all'ingrosso di 2,8 yuan (circa 30 centesimi) e garantisce un profitto di soli 4 jiao (0,05 centesimi di euro). "Il che vuol dire che a causa del basso margine di profitto, non posso vendere il prodotto direttamente ai clienti" spiega il signor Chen, proprietario di una delle aziende, che aggiunge: "Non posso accettare ordini al di sotto delle 5000 unità altrimenti registrerei gravi perdite di denaro che non mi permetterebbero di pagare i miei dipendenti". Dieci giorni lavorativi sono più che sufficienti per produrre diecimila vuvuzele, "il processo, infatti, è molto semplice: un operaio non deve far altro che versare la plastica non lavorata in uno stampino, aspettare che il tutto si raffreddi e solidifichi e tirare fuori la trombetta" spiega Chen. In Sudafrica il prezzo di una vuvuzela si aggira attorno ai 20-60 rand (dai 3 agli 8 dollari, cioè tra i 2,45 e i 6,50 euro), ma gran parte del profitto va nelle tasche dei commercianti stranieri. Huang Xile, capo della Fengxiang Litong, vende le sue trombette a un prezzo ancora più basso di Chen: 2,5 yuan all'ingrosso. Accanto alle classiche vuvuzele di 76 cm, Huang propone inoltre strumenti più corti – da 6 a 10 cm di lunghezza – che vengono venduti a 5 jiao (circa 0,05 centesimi) e che assicurano al produttore un guadagno pari a 1 jiao. "I profitti sono molto limitati, ma non ho scelta e devo dipendere dagli ordini delle compagnie di export" afferma Huang. "Le piccole imprese come la mia non hanno nessun tipo di contatto con i clienti stranieri, quindi sono le aziende di export ad avere l'ultima parola e scegliere quali fabbriche possono lavorare per loro". Insomma, le trombette non arricchiscono così come era stato quasi annunciato, ma permettono a malapena di sopravvivere alla crisi. E intanto, nonostante tutto, i produttori continuano a sperare che prima o poi la febbre da vuvuzele contagi tutti, incuranti del fatto che in molti sport questo 'strumento musicale' è stato già bandito, come nel caso del torneo di tennis di Wimbledon. Ma Chen è informato e assicura che gli organizzatori dei Giochi asiatici, che si terranno a novembre a Canton, hanno già dato il via libera alle vuvuzele. "Queste trombette stanno diventando sempre più popolari nel mondo e sono quasi sicuro che presto solleticheranno la curiosità e l'interesse dei fan cinesi" sostiene Chen. Nel frattempo hanno già riempito d'orgoglio il popolo cinese: su un campione di 296 persone intervistate dal quotidiano cinese China Daily, il 61% di loro ha dichiarato di non amare le vuvuzele, ma di essere orgoglioso del fatto che la maggior parte di esse provengano dalla Cina. Al di là della moda e dei sentimenti patriottici, quello delle trombette da stadio non sembra un prodotto destinato a valorizzare (e in un certo senso a riscattare) l'immagine del Paese. Lo sostengono molti analisti che ritengono che la Cina in questo campionato mondiale abbia perso un'occasione d'oro per farsi pubblicità. Secondo Jiao Chen del Centro di economia e diplomazia della Qinghua University, la popolarità che le vuvuzele stanno regalando al Made in China è destinata a scomparire in quanto "questi prodotti non hanno un marchio di fabbrica che li sponsorizzi e non c'è proprietà intellettuale". A fargli eco anche Chen Xirao, vice segretario generale del settore di ricerca per l'industria dello sport dell'Associazione cinese di scienza e tecnologia, che sostiene che "nel moderno mercato dello sport il marchio è estremamente importante. A nessuno interessa da dove provenga il merchandising destinato ai fan". Secondo le stime, i profitti relativi al campionato mondiale del Sudafrica raggiungeranno la cifra stellare di 3,8 miliardi di dollari (3 miliardi di euro), un record mai registrato prima, ma la Cina è presente sui campi da gioco con soli due marchi: Yiling solar power, che per avere i suoi momenti di visibilità ha pagato 80 milioni di dollari, e Gree un'azienda di condizionatori e sistemi di refrigerazione. "Attualmente la Cina può contare su molte aziende già affermate, ma non ha saputo cogliere l'occasione per valorizzare le sue risorse" afferma Yang Fenglu, direttore dell'Istituto per l'economia industriale dell'Università dello Shandong.
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