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La prima cosa da osservare è che l'interscambio cinese è fatto di import e non solo di export. E il fatto che il surplus cinese nel commercio estero stia nettamente riducendosi (dal 10,6% del Pil nel 2007 a - stime Ocse - il 2,8% quest'anno e poco più nel 2011) indica che la Cina aiuta la crescita nel resto del mondo.
Per quanto riguarda poi il cambio, questo, una volta che si guardi al combinato disposto del cambio effettivo (rispetto a tutte le altre monete) e del cambio reale (che tiene conto dei differenziali d'inflazione), sta già apprezzandosi. Dalla metà del 2007 - data di avvio della crisi - a oggi il cambio effettivo reale si è apprezzato di circa il 12%, come in effetti si conviene a un paese a bassi costi del lavoro e forte crescita. E le accuse di mnaipolazione del cambio non reggono.
Certo, dato che la Cina continua a registrare ampi avanzi nei conti con l'estero, è senz'altro possibile che lo yuan diventerebbe anche più forte, se la domanda e l'offerta di valuta dipendessero solo dalle transazioni correnti. Ma se in Cina vi fosse la stessa libertà valutaria che c'è negli States, non è affatto detto che lo yuan si apprezzerebbe. L'immenso risparmio cinese è oggi recintato all'interno del sub-continente da vari ostacoli e restrizioni. Se non altro per ragioni di prudente diversificazione dei "giardinetti" d'investimenti, una completa libertà valutaria spalancherebbe le porte del recinto e i deflussi sarebbero probabilmente tali da più che compensare gli afflussi da transazioni correnti e da capitali in entrata.
Insomma, bisogna stare attenti ad auspicare una cessazione della "manipolazione" dello yuan. I cinesi potrebbero prenderci sul serio.
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30/08/2010
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