di Geminello Alvi
Ancona, 12 mar. - In Cina rischia di prendere forma una politica restrittiva che non ha confronti dai primi anni 80: mentre i tassi reali crescono, come pure lo yuan, il governo centrale sta avviando il contenimento della spesa dei governi locali. Secondo l’IMF il deficit di bilancio del 2014 ha superato il 10% del Pil nel 2014, includendo i prestiti delle regioni attraverso veicoli finanziari e immobiliari. Si tratterebbe del più alto deficit tra le economie sviluppate, e legato inoltre al ciclo immobiliare; il cui sviluppo è stato rispetto al Pil più elevato di quello del Giappone alla fine degli anni 80. Ma le nuove norme entrate in vigore nel gennaio se attuate vieterebbero ai governi locali di raccogliere fondi off-books con effetti molto pesanti sulla politica fiscale di quest'anno.
Peraltro la Cina non può giovarsi di uno stimolo monetario per attutire lo shock fiscale: l'economia è satura di credito. La crescita supplementare generata dai nuovi prestiti è scesa dallo 0,8 del 2008 allo 0,2. La più parte dei nuovi prestiti va a rinnovare il debito esistente. Secondo alcuni analisti il costo dell'indebitamento per le aziende cinesi sarebbe salito col calo dell’inflazione di 800 punti base in termini reali dal 2011. Gli ultimi tagli insomma mitigano l’inasprimento della congiuntura già in atto, di cui da prova il calo dei prezzi all’ingrosso del 4.3% a gennaio, ma non lo rovesciano.
E va infine ricordato come la Cina sia diventata venditrice netta, non stia comprando come prima buoni del Tesoro degli Stati Uniti e obbligazioni globali. Ancora un anno fa la riserva della PBOC acquistava 30 miliardi di dollari al mese di obbligazioni globali. Starebbe adesso secondo alcuni analisti vendendone 10 miliardi di dollari al mese. Il che significa un saldo di $40 miliardi, i cui effetti superano largamente i $15 miliardi al mese comprati dalla banca centrale di Tokio da ottobre. In altri termini l’Asia sta neutralizzando circa la metà dell’effetto dell’intervento della Bce sull’economia mondiale. Una svalutazione potrebbe migliorare la congiuntura, e però lo yuan resta legato al dollaro che intanto seguita a impennarsi. La divisa cinese è salita del 60% nei confronti dello yen giapponese dalla metà del 2012, e del 27% sull’euro rispetto l'anno scorso.
12 marzo 2015
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