La rincorsa ai bassi costi non serve
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La rincorsa ai bassi costi non serve

La rincorsa ai bassi costi non serve

Competitività. Rapporto Assolombarda-Unindustria Torino sull'internazionalizzazione nel 2002-2010
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MILANO
Indietro non si torna. Le scelte di globalizzazione fatte dal campione di aziende al centro di due storiche indagini sui processi di internazionalizzazione di Assolombarda e Unione industriale di Torino trovano una conferma nell'evoluzione rivelata nell'arco di tempo 2002-2010.
Sono aziende che hanno attraversato il deserto della crisi, ma non hanno mollato sull'estero, tanto che nel 2010 la quota di fatturato esportata è ritornata sui livelli del 2007 (47%) riavvicinandosi al picco del 2008 (49%). Il 96% delle aziende internazionalizzate ha usato l'export, ma l'avvicinamento ai mercati si è verificato anche attraverso la scelta di fornitori. L'Europa ha perso smalto come area di destinazione, ma anche la Cina che nel 2008 era gettonatissima soffre la concorrenza di altre mete, inclusi i paesi del Mediterrano e la Turchia. Come rivela il grafico in pagina, il costo orario cinese va al galoppo, al punto da raggiungere la convergenza con quello italiano nel 2029, mentre l'India lo raggiungerà "solo" nel 2059.
Queste valutazioni terranno banco oggi in Assolombarda, in via Pantano, a partire dalle 10, le due analisi sull'internazionalizzazione saranno esposte per la prima volta insieme dalle due associazioni territoriali, con un metodo che sarà seguito nei prossimi anni.
«Per la prima volta uniamo le forze sull'internazionalizzazione - dice Gianfranco Carbonato, presidente dell'Unione torinese – abbiamo eccellenze nell'analisi del mondo aziendale, sfruttiamole». Incalza Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, che ospita questo primo round: «Le aziende hanno bisogno di valutazioni utili a tutto campo, perché non condividerle dando, così, maggiore eco alle stesse?».
Particolare attenzione viene posta sulle dinamiche del costo del lavoro. Anche la Cina deve fare i conti con una realtà nuova, mentre i costi della logistica limano la redditività di scelte geografiche, la produttività e la qualità dei paesi di sbocco spesso non sono all'altezza delle aspettative. Per le aziende italiane del Nord si profilano nuove sfide.
Fin dalle prime fasi della globalizzazione, i bassissimi prezzi della manodopera di Paesi emergenti come la Cina e l'India sono stati forti elementi di attrazione per le imprese internazionalizzate. La crisi spinge a tenere sotto controllo e, se possibile, ridurre i costi di produzione. La tentazione forte sta nel fatto che rischia di crescere l'attenzione delle imprese per quei Paesi in cui i prezzi della manodopera sono inferiori. Il punto è - specifica la ricerca dell'ufficio studi torinese - che adesso sono le economie emergenti a subire gli effetti del dumping. Se l'India ha valori di costo inferiori del 40% rispetto a quelli cinesi, non per questo è immune da rischi di delocalizzazione. Vietnam, Laos ed Indonesia offrono prezzi della manodopera più bassi del 30-40% perfino rispetto a quelli indiani. Un fenomeno definito dumping del dumping che tocca soprattutto le produzioni più povere.
Ma sulle attività più complesse, la Turchia già oggi è costretta a rinnovarsi per difendere la propria industria dall'assalto competitivo di paesi recentemente entrati nell'orbita europea, come la Serbia che, con un'ottima tradizione nell'industria metalmeccanica, offre costi della manodopera inferiori del 70% circa.
Le aziende italiane mostrano di essere impermeabili a queste tentazioni. «Per questo il fattore umano - aggiunge Gianfranco Carbonato - resta determinante: bisogna continuare a formare il nostro personale per reggere alla competizione». «Se le nostre aziende non hanno mai mollato - commenta Meomartini è perché hanno saputo mantenere alta la qualità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

22/11/2011
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