La lunga marcia di Savio alla conquista della Cina
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La lunga marcia di Savio alla conquista della Cina

La lunga marcia di Savio alla conquista della Cina

Meccanotessile. A Jinin il fatturato 2011 salirà del 75% sul 2010
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JINING. Dal nostro inviato
Produrre qualità italiana a costi cinesi. È il sogno nel cassetto di qualsiasi imprenditore. Ma il più delle volte è destinato a restare tale.
«Non è stato facile, ma alla fine noi ci siamo riusciti» dice con orgoglio Mauro Moro, direttore industriale di Savio Shandong, la filiale cinese del gruppo meccanotessile italiano. Un miliardo di yuan (circa 110 milioni di euro, +74,7% sul 2010) di fatturato previsto nel 2011, pari a circa 900 macchine vendute, 220 dipendenti, un margine operativo lordo del 20 per cento. Dieci anni dopo il suo sbarco in Cina, la Savio rappresenta sicuramente una delle operazioni di internazionalizzazione di maggior successo dell'industria manifatturiera italiana.
L'avventura cinese inizia nel 2001 quando il gruppo di Pordenone decide di assemblare dei ritorcitoi oltre la Grande Muraglia in joint venture con la Cnt, una società di distribuzione di macchine meccano-tessili controllata da Franco Cutrupia e Pauline Wei. La scelta del sito produttivo cade su Jining, una grande città dello Shandong poco distante da Chou Fu, il villaggio (all'epoca) che diede i natali a Confucio.
«Dopo una lunga ricerca, scegliemmo Jining per diversi motivi: la presenza nello Shandong di una forte industria tessile di alta qualità, l'ampia offerta di manodopera, il basso costo dei fattori produttivi, gli incentivi offerti dalla Municipalità, e, ultimo ma non meno importante, l'attenzione che le autorità locali hanno posto e hanno continuato a porre al nostro investimento».
Nel 2007, l'anno successivo all'ingresso del gruppo Itema (famiglia Radici) nel gruppo di Pordenone, la Savio trasferisce l'intera produzione di ritorcitoi nell'impianto di Jining, dove comincia ad assemblare anche le roccatrici. Il timing è perfetto: dopo la battuta d'arresto causata dalla grande crisi economica mondiale del 2008, per l'industria tessile cinese si è aperta un'altra fase di boom incentrata soprattutto sul mercato interno che la Savio è riuscita a cavalcare brillantemente grazie alla sua fabbrica dello Shandong.
«La vicinanza ai clienti è stata decisiva per la nostra crescita su questo mercato, perché ci ha consentito di progettare i prodotti secondo le loro esigenze nella migliore tradizione Savio – osserva Moro –. Così siamo riusciti ad assicurare ai nostri clienti cinesi, tra cui figurano giganti tessili verticalizzati con linee produttive da oltre un milione di fusi, oltre al prodotto di alta qualità anche un servizio e un'assistenza completa».
È stata un'evoluzione fisiologica, dettata dalla rivoluzione che negli ultimi dieci anni ha trasformato radicalmente l'industria tessile mondiale: la Cina è diventata il principale polo produttivo del pianeta, e i produttori di roccatrici, ritorcitoi e telai hanno dovuto avvicinarsi ai nuovi padroni delle filiere. Così facendo, Savio non ha fatto altro che replicare in Cina lo stesso modello adottato in Italia, dove per decenni ha lavorato fianco a fianco all'industria tessile locale, acquisendo un notevole vantaggio competitivo sui concorrenti tedeschi e giapponesi.
L'altra chiave del successo di Savio oltre la Grande Muraglia è stato il potente richiamo del made in Italy. «Siamo riusciti a produrre delle macchine che sono percepite dal mercato come macchine italiane, ma a costi di fabbricazione cinesi – aggiunge Moro –. Il 60% dei nostri ritorcitoi e delle nostre roccatrici, infatti, viene realizzato in Cina, mentre il 40% sono componenti ad alto valore aggiunto importati dall'Italia».
Grazie a questa combinazione vincente, nell'arco di un decennio durante il quale il gruppo italiano ha venduto sul mercato locale oltre 20mila macchine, l'internazionalizzazione di Savio si è trasformata in una nuova, strategica localizzazione visto e considerato che oggi la Cina è arrivata ad assorbite circa i due terzi dell'intera produzione del gruppo.
«Quella è la prova del nostro successo in Cina – dice Moro indicando con orgoglio una targa di ottone attaccata alle pareti –. Ce l'ha conferita la Municipalità di Jining perché nel 2010 siamo diventati uno dei dieci principali contribuenti della città. Non è male se si pensa che in quest'area operano anche altre multinazionali del calibro di Pirelli e Komatsu».
L'operazione Cina ha solo un neo: nessun fornitore italiano di Savio ha seguito il gruppo meccanotessile di Pordenone nell'avventura cinese. «Avevamo offerto incentivi oltre a un fatturato garantito, ma nessuno ha raccolto la sfida – dice il direttore industriale di Savio –. Per noi sarebbe stato importante ricreare qui una filiera integrata di fornitura. Così abbiamo dovuto costituire da zero una nuova base di supplier locali, con tutti i problemi conseguenti».
Purtroppo, è un treno che non passerà mai più. «Noi alla fine abbiamo risolto i nostri problemi, ma i nostri fornitori storici hanno perso un'opportunità unica di internazionalizzare il loro business», aggiunge Moro, evidenziando uno dei punti di debolezza strutturali del sistema industriale italiano rispetto agli altri grandi paesi europei.
Ma, nonostante i brillanti risultati conseguiti finora oltre la Grande Muraglia, per Savio la partita cinese è ancora tutta da giocare. Il bottino in palio è alto. Per due buone ragioni. Perché oggi in Cina c'è un mercato domestico che ha ancora notevoli potenzialità di crescita. Perché l'aumento del costo del lavoro spingerà l'industria tessile cinese ad aumentare l'automazione dei propri impianti produttivi. E perché i colossi del settore hanno una fame sfrenata di innovazione e tecnologia.
Toccherà al fondo di private equity italo francese Alpha, che qualche mese fa ha acquisito per 300 milioni di euro la maggioranza di Savio dall'Itema Holding della famiglia Radici, assicurare continuità al successo di uno dei marchi storici dell'industria meccanotessile italiana.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

08/09/2011
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