La ripresa in Cina? Avverrà già dalla seconda metà del 2009, almeno secondo il dossier stilato dall'Economist Intelligence Unit, la sezione di analisi legata all'importante settimanale britannico "The Economist" che è diventata un istituto di ricerca tra i più influenti al mondo. Lo studio, condotto sotto la guida dell'economista australiano Stephen Joske, ex rappresentante del Tesoro a Pechino, traccia un profilo inedito di quello che potrebbe avvenire in Cina nei prossimi mesi. La crisi globale ha assestato un duro colpo all'omogeneità della crescita delle varie province e ha drasticamente cambiato le carte in tavola: secondo Joske e i suoi analisti al momento le aree interne, più povere, stanno crescendo a un ritmo molto più veloce rispetto alle zone costiere che venivano chiamate "la fabbrica del mondo", almeno finché il mondo non ha smesso di comprare. Il pil cinese riuscirà a crescere del 6% nel 2009: un notevole passo indietro rispetto al +13% del 2007 e al +9% del 2008, ma comunque un risultato rispettabile. Ma le prospettive per una provincia come il Guangdong, che fino al 2007 produceva un terzo delle esportazioni del paese sono particolarmente grame, e nel 2009 quello che veniva considerato il cuore del miracolo economico cinese crescerà solo del 5.1%. "Tutte le città e le province più importanti, come il Guangdong o Pechino e Shanghai, si stanno indebolendo perché sono particolarmente esposte alla crisi del settore immobiliare" dice Joske. "Riteniamo che tra queste quella che otterrà i migliori risultati è Pechino, a causa della sua forza nel settore dei servizi e della sua minore esposizione nel commercio". Un confronto con la relativamente più povera zona del cosiddetto "anello di Bohai", che comprende la città di Tianjin -di fatto il porto di Pechino- e le province del Liaoning e dello Shandong, va nettamente a vantaggio di quest'ultima, anche per via delle imponenti politiche lanciate dal governo per favorire gli investimenti nell'area. Le dieci province della costa, solo un terzo del totale delle province cinesi, hanno generato il 57% della crescita degli ultimi 30 anni, dalla politica di riforme inaugurata da Deng Xiaoping. Eppure secondo Joske è ora che gli imprenditori stranieri sposino la politica "Verso Ovest" che il governo sta tentando di lanciare già da qualche tempo: "Sembra quasi che gli investitori stranieri abbiano una fissazione verso le zone costiere,- dice Joske- dove destinano il 75% dei loro investimenti diretti. Eppure, se mai c'è stato un periodo ideale per andare nell'ovest della Cina è questo. Anzi, era ieri". Un altro effetto della crisi sulla Cina secondo l'Economist Business Unit sarà l'espansione delle imprese statali -cui sono stati destinati grossi benefici dal pacchetto di misure straordinarie del governo- a discapito delle compagnie private. "Le province con una prevalenza del capitalismo di stato, come ad esempio il Liaoning, saranno privilegiate rispetto a quelle in cui la maggioranza delle imprese è privata, come lo Zhejiang". Col pacchetto di misure straordinarie, inoltre, il rischio che le banche concedano prestiti improduttivi è dietro l'angolo, e potrebbe compromettere lo sviluppo del sistema finanziario cinese. Ma nonostante questa giostra di elementi contrastanti, secondo Joske e i suoi si deve continuare a puntare sulla Cina: "Di sicuro l'economia sta rallentando parecchio sotto l'influenza congiunta della crisi globale e del ciclico arresto del settore delle costruzioni all'interno del paese, ma la Cina rimane un posto in cui fare business migliore di tanti altri paesi. Questo paese continuerà a registrare una crescita nel 2009, mentre gran parte dell'economia mondiale è in recessione, ed è probabile che sarà una delle più importanti economie del mondo a dare segni di ripresa già nella seconda metà di quest'anno".